Cultura

un tacchino e un maialeper parlare di dio

Un appassionante saggio narrativo di Haim Baharier

di Redazione

Un tacchino pensante e un angelo-maiale. Sono le due immagini entro cui si muove il nuovo libro di Haim Baharier, un saggio narrativo (con una narrazione talmente godibile da far scordare la fatica del saggio) sui testi sacri dell’ebraismo. Due immagini più che materiali, più provocatorie che paradossali. La prima si rifà a una storiella yiddish. Racconta di un contadino che, al mercato, fa i suoi conti: se un pappagallino costa due rubli, il mio tacchino, così bello e grasso, ne varrà venti. Ma il pappagallo parla, fa osservare un passante. «Ma il mio tacchino pensa».
Parte da qui, Baharier, anticonformista studioso della Torah, per un pensiero che scandaglia, a volo d’uccello, la Torah ebraica. Un pensiero acuto come un’aquila, che non teme di affrontarne – anzi predilige – i passi più complessi, oscuri, contraddittori, o come dice l’autore «meschini». Un pensiero che Erri De Luca paragona a un tappeto volante sulla Scrittura, di cui raccomanda l’uso a chi soffre di vertigini, ma che per Baharier somiglia al volo del tacchino: «Guarda il cielo ma non si illude».
Senza dubbio ha ragione De Luca. Ma il tacchino pensante non vola rasoterra tanto per via del suo peso, ma perché – lui che è pensante – sa dell’angelo-maiale. Che impone il ruminare prima di scegliere (mentre il maiale ha sì l’unghia fessa ma non rumina, e quindi è impuro). Non si tratta di una banale indicazione morale, ma di un tormentato approccio conoscitivo: Baharier lo definisce «l’epistemologia della soggettività» e lo declina come «l’essere aggrappati all’assoluto». In tempi di pensiero debole fondato su una soggettività forte, l’ardire di una verità che parta da una soggettività claudicante scompagina le aquile.

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