Non profit
Occorre il coraggio di ricominciare
Che fare? L'analisi e la proposta di Riccardo Bonacina
di Redazione
Esattamente un anno fa lanciammo su Vita il dibattito sul rapporto tra terzo settore e politica. L’occasione fu fornita dalla presentazione del manifesto di Cittadinanza democratica sottoscritto da tanti leader e rappresentanti del terzo settore che «in quanto militanti per il Partito democratico e nel Partito democratico», si proponevano di influire nel processo costituente del nuovo partito. Di quell’aggregazione oggi si è persa traccia, persino su web, e neppure il Partito democratico oggi sta troppo bene. Ma quel dibattito continuò per settimane e fu occasione di vera riflessione sul futuro della soggettività politica del terzo settore. I materiali, per chi fosse interessato, sono raccolti nel n. 18/07 di Communitas. Anche sull’onda di quel dibattito si sono prodotti materiali interessanti come la proposta di una Carta della rappresentanza, elaborata dal Celivo – Centro servizi volontariato di Genova. È passato solo un anno e quel disagio cui era bastato un cenno per farsi pubblica discussione e riflessione, ora giunge ad un primo vero nodo, il destino del Forum del terzo settore, le cui funzioni di rappresentanza sono in crisi ormai da tempo, e che va davvero al di là del valore delle persone chiamate ad assumersi l’onere di svolgerle. A me pare che occorra guardare oltre il pur rognoso nodo in questione e prendere atto delle sconfitta accusata in questi anni. Sempre di più “i luoghi e gli attori della rappresentanza” (rubo il titolo di un’interessantissima ricerca del Cesvot in collaborazione con Iris) sono sempre più dettati dal pubblico. In Regione Toscana, caso davvero emblematico, dopo le leggi istitutive delle diverse Consulte (associazionismo, volontariato, cooperazione), nell’aprile 2007 una legge ha istituito la Conferenza permanente delle autonomie sociali e, più recentemente, un’altra legge (la n. 69 del 27 dicembre 2007) ha normato il diritto alla partecipazione, alla elaborazione e alla formazione delle politiche regionali. Insomma, i tempi, i modi e le regole della rappresennza sociale sono stabiliti dalle istituzioni pubbliche. Ed è qui la prima grande sconfitta, quella di una rappresentanza sempre più sotto tutela, quella del non essere riusciti nella scommessa dell’autorappresentanza, a livello locale e a livello nazionale. Ma per far questo occorre una grande coscienza della propria soggettività, una grande fiducia nella propria capacità di rete e di condensazione. E, forse, la forza e il coraggio di ricominciare.
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