Tom Johnson è un hooligan. Un teppista che ogni week end segue il Chelsea in tutta l’Inghilterra. Obiettivo: quello di farsi rispettare dalle “brigate” nemiche e dalla “sbirraglia”. Sono gli anni 90. L’Heysel è un ricordo vicino. I governi di tutta Europa incominciano a interrogarsi su come cancellare la piaga del tifo violento. Londra però, proprio in quegli anni, si afferma sulla scena mondiale come il laboratorio più crudo e violento dell’hooliganismo internazionale. Una perversione di cui si faticano a trovare le ragioni. «La violenza fine a se stessa non ha significato». Difficile muoversi da questa evidenza.
A gettare il sasso nello stagno arriva nel 2000, Fedeli alla tribù di John King. Ancora oggi la bibbia indiscussa delle curve di tutta Italia. Quello di King è un romanzo in tutto e per tutto. Dentro non c’è nessuna giustificazione, nessuna indulgenza verso un’esistenza, quella appunto di Tom Johnson, che però da sola basta a rappresentare, come nessun altro è stato in grado di fare, il senso di vivere da ultrà. Che, facilmente, può irritare, ma che dopo King non può più essere additato come “folle”.
Un lavoro da magazziniere che ti consuma la pelle delle mani a furia di caricare e scaricare scatoloni di carta, che, alla fine, non è nemmeno così male quando fai parte di una tribù. È lì nel pieno della battaglia fra cazzotti e coltelli che Tom respira il legame indissolubile con i suoi compagni che (ne sei convinto) non ti tradiranno mai: «In strada c’è gente che guarda la battaglia? Ho il sangue in testa e il corpo che mi formicola? Meglio di chiavare una passera. Meglio delle pasticche? Questa sì che è vita. Tottenham fuori casa. Una libidine».
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