Non profit

Eluana, stop all’alimentazione

Il decreto della Corte d'Appello di Milano per la prima volta in Italia autorizza a interrompere alimentazione e idratazione, ma dà anche indicazioni sulle modalità per interromperle

di Sara De Carli

Stop all’alimentazione e all’idratazione artificiali. È questa la novità di oggi nel caso di Eluana Englaro, la giovane di Lecco che vive in stato vegetativo da sedici anni, a seguito di un incidente stradale avvenuto il 18 gennaio 1992, quando lei aveva 20 anni. L’autorizzazione è arrivata oggi dalla Corte d’appello di Milano, che ha autorizzato il padre di Eluana, in qualità di tutore, ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione artificiale. Il padre della ragazza, Beppino Englaro, chiede la sospensione del trattamento da più di nove anni; la vicenda per tribunali inizia nel 1999, quando il tribunale di Lecco respinge la richiesta di sospendere l’alimentazione che non è “accanimento terapeutico”.


La storia

Si tratta del nono giudizio sulla vicenda, dopo che Corte di Cassazione con sentenza del 16 ottobre 2007 ha annullato tutte le sentenze negative emesse negli anni passati rimanda il caso alla Corte d’Appello di Milano. Per la Cassazione il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare l’interruzione in presenza di due circostanze concorrenti: la condizione di stato vegetativo del paziente apprezzata clinicamente come irreversibile e l’accertamento, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento. La Corte d’Appello lo scorso 25 giugno aveva ascoltato Peppino Englaro proprio su questo secondo punto. L’uomo aveva ricordato come la figlia, in vita, più volte avesse ribadito la sua volontà di non rimanere attaccata a una macchina. «Sono certo che da questa nuova causa uscirà una sentenza giusta su un problema tanto delicato che è emerso per la prima volta grazie ad Eluana», aveva detto Englaro.


Idratazione e alimentazione: la prima volta

I giudici della corte d’appello di Milano quindi hanno deciso di autorizzare il padre di Eluana Englaro a richiedere, fin da subito, la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiali. Una novità in Italia, che ha similitudini solo con il caso di Terry Schiavo, per cui nel 2005 negli Usa era stata autorizzata l’interruzione di alimentazione e idratazione. Diverso, infatti, il caso di Piergiorgio Welby, per cui si chiedeva l’interruzione delle terapie, non delle semplici alimentazione e idratazione.

Questi due punti erano quelli su cui si è arenato il dibattito in Commissione Igiene e Sanità, durante la scorsa legislatura, dove erano stati esaminati ben 11 proposte di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento. «La domanda vera è: respirazione, idratazione e nutrizione sono trattamenti terapeutici o meri atti di cura? Il respiratore pare per tutti tra le cose a cui si può rinunciare, mentre per alcuni nutrizione e idratazione artificiale (Nia) non concorrono mai a fare “accanimento terapeutico” e quindi non possono essere oggetto di dichiarazioni anticipate di trattamento. È chiaro che nelle situazioni di fine vita, di cui stiamo parlando, idratazione e nutrizione non bastano a tenere in vita una persona: vedo bene allora l’idratazione pensata come parte delle cure palliative, per dare sollievo. Non vedo perché non lo si debba fare. Rinunciare alle cure non vuol dire fare morire di sete una persona», ci aveva detto la sentraice Fiorenza Bassoli, relatrice unica per le 11 pdl, esattamente un anno fa.


Istruzioni per l’uso

L a seconda novità del decreto è che i giudici hanno dato anche delle “istruzioni per l’uso” sul come deve avvenire la sospensione, entrando nel merito medico. L’interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione artificiale e la sospensione dell’erogazione di presidi medici collaterali devono avvenire in un hospice o in un altro luogo di ricovero ed eventualmente con «perdurante somministrazione di quei presidi già attualmente utilizzati e atti a prevenire o eliminare reazioni neuromuscolari paradosse (come sedativi o antiepilettici)». Questi medicinali andranno somministrati in modo da garantire un adeguato e dignitoso accudimento della persona durante il periodo in cui la sua vita si prolungherà dopo la sospensione del trattamento, e «in modo da rendere sempre possibili le visite, la presenza e l’assistenza dei suoi più stretti familiari».
In più scrivono che il fatto che Eluana fosse cattolica non implica che essa ne condividesse pienamente tutte le regole, anche morali: «È evidente – scrivono – che una professione di appartenenza, più o meno formale o generica, ad una certa confessione religiosa, non implica affatto anche la inesorabilità di una piena condivisione ed osservanza pratica, e in concreto, di tutte le relative regole, anche morali».


I commenti

«Finalmente si pone fine a un trattamento indegno», commenta la senatrice Donatella Poretti. «Ma niente potrà far dimenticare l’assurdo calvario giudiziario imposto alla famiglia Englaro. È incredibile che ci siano voluti nove anni e almeno sette gradi di giudizio per affermare un diritto, quello alla libera scelta dei trattamenti sanitari, sancito dall’articolo 32 della Costituzione». Semplicemente «una decisione di buon senso» per Marco Cappato segretario dell’Associazione Luca Coscioni.

Critico Adriano Pessina, direttore del centro di bioetica dell’università Cattolica di Roma. «L’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione comporteranno una lenta agonia di Eluana Englaro. Ci auguriamo che questa decisione non venga attuata e ci appelliamo, ancora una volta, al signor Englaro affinché permetta che Eluana continui a vivere». La nota di Pessina sottolinea «la gravità di una simile decisione, che di fatto scardina il principio della non disponibilità della vita umana e del dovere, proprio di ogni società civile, di non legittimare forme di abbandono terapeutico e assistenziale nei confronti dei propri cittadini, che non sono in grado di provvedere a loro stessi. Di fatto viene attribuito a un tutore un vero e proprio potere di vita e di morte nei confronti della persona che gli è affidata, stravolgendo lo stesso significato della tutela. Questa decisione, inoltre, introduce un serio e grave problema deontologico nella medicina: sospendere trattamenti ordinari come quelli somministrati a un paziente in stato vegetativo a motivo di una decisione che non ha fondamento clinico, significa di fatto scardinare il dovere fondamentale del prendersi cura dei pazienti che non sono in grado di intendere e volere».

Scienza & Vita invece ha accolto la notizia con amarezza e stupore: «Grande amarezza perché si legittima l’uccisione di un essere umano privandolo delle cose più elementari: l’alimentazione e l’idratazione. Stupore perché la società dei sani ha deciso di non prendersi cura di un essere umano in condizioni di grandissima fragilità e dipendenza, condannandolo ad una morte atroce per fame e per sete».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA