Famiglia

Perché prego

"La preghiera incide nella storia. La può cambiare". Un grande spirito della Chiesa di oggi, Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose (di Luca Volponi).

di Redazione

Serve pregare? Serve la preghiera a rendere il mondo migliore? Domanda semplice, concreta. Attuale, perché davanti alle forze della guerra, la preghiera sembra l?unica vera arma rimasta alle forze della pace. Enzo Bianchi, priore della comunità monastica interconfessionale di Bose, è uno che prega. Non per devozione, ma per convinzione: la preghiera, sembra dire, è utile alla storia. Alla vigilia di un Natale particolarmente tormentato, gli abbiamo chiesto ragione di questa certezza. Vita: Padre Bianchi, davvero la preghiera può incidere concretamente sulla storia? Bianchi: Innanzitutto c?è un estremo bisogno di riaffermare che il pregare è un atto legato intimamente al pensare e al saper pensare, e va ribadito che non sa pregare colui il quale non sa pensare. Per restare, come dire, su questo piano empirico nell?analisi della pratica della preghiera, va da sé che il pensiero umano opera giudizi e con essi un discernimento il quale nel suo proprio procedere diventa poi azione. Scegliere è allora un?ulteriore tema inerente alla preghiera perché essa deve costantemente condurre a una scelta e a un?opzione sul vivere proprio del mondo. Un credente prega perché è convinto che la preghiera sia una componente della storia: pregando il credente assume una consapevolezza più forte e autentica. Poi ci sono altre componenti nel pregare che andrebbero considerate come fondanti la storia umana: il leggere, ad esempio, riguarda da vicino il pregare nella misura in cui la preghiera cristiana, per restare in uno specifico conosciuto, non può fare a meno di rapportarsi alla lettura delle Scritture e al loro ascolto. Pensare, decidere e ascoltare sono già tre elementi di intervento sul mondo e questo è il dove la preghiera interviene e incide sulle decisioni umane dentro alla storia. Vita: In una società in frenetica evoluzione non le sembra almeno demodé, se non proprio inadeguato, il ricorso alla preghiera per muovere il mondo? Bianchi: E’ vero: oggi siamo testimoni di mutamenti tanto rapidi e convulsi laddove le generazioni di uomini che ci hanno preceduto sono vissute in una relativa staticità antropologica e storica. La forma del pregare, come manifestazione del precarius ossia dell?uomo che tocca con mano la propria precarietà e la rende invocazione, era pressocché identica tra diverse generazioni del passato umano. Vita: E oggi come è cambiata? Bianchi: Mi sembra che oggi ferva, un poco ovunque, il bisogno di rispondere alla domanda qual è il senso della nostra vita, cosa posso sperare, qual è il senso dell?esistere stesso. Noi viviamo l?ambiguità di una secolarizzazione sempre incombente e dell?emergere di nuove forme di religiosità, verso le quali la fede tradizionale ha patito migrazione. Come uomini siamo collocati tra una cultura tecnologica e un primato sempre crescente dell?esperienza e su questo mi sembra siamo tutti d?accordo. Nel leggere attentamente la preghiera si possono notare dei punti di cui bisogna avere consapevolezza in maniera che torni a essere il respiro stesso della nostra fede e della comunione con quel qualcosa che ci prescinde completamente, che non cada sotto la dominante di un io personale, nel quale si respiri l?assoluto. Vita: Ma esistono delle resistenze a un abbraccio alla preghiera tradizionale nell?umanità contemporanea? Bianchi: Il primo problema che opera sulle carni di questa generazione è il narcisismo che ha intaccato lo stile dell?esistenza attuale. Esistono molti elementi narcisistici nella nostra cultura come l?esagerato investimento nella propria immagine a spesa del sé. Pare che ora non esista più un lavoro per la vita interiore e che le energie siano tutte spese nell?essere visibile. Lo slogan della contemporaneità sembra essere «videor ergo sum» (sono visto quindi sono) il che fa sembrare che una persona esiste solo e unicamente se è vista. L?individualismo esasperato domina ogni aspetto del vivere sociale, politico e antropologico senza possibilità di redenzione. Il punto è che poi si constatano delle ripercussioni letali per il genere umano stesso: se tutto non è che narcisismo, quale capacità avremo di pronunciare la parola ?noi?, quel noi che è la sostanza stessa e la forza motrice della storia umana, il noi, appunto, del Padre Nostro – e non del padre mio! – nella forma che l?uomo di Nazareth ci ha insegnato? È scomparsa dall?orizzonte storico una responsabilità collettiva lasciando il posto nella preghiera a un ?padre mio? che è mio non per l?intensità amorosa di cui lo circondo ma perché in quel mio mi rivolgo a un Dio che voglio per me, fatto a mia immagine e somiglianza e che esiste in funzione del mio io. Vita: Insomma il rapporto tra l?uomo e Dio è avvilito da un individualismo eccessivo? Bianchi: Non solo svilito ma quasi cancellato. L?individualismo della fede è un altro elemento caratterizzante questo tempo: nelle nostre società l?adesione religiosa è divenuta oggetto di una scelta individuale e non è più un dato di tradizione trasmesso dalla generazione precedente alla successiva. Solo che mancando la trasmissione manca anche il senso sapienziale di ciò che era trasmesso e, con esso, la memoria. Allora si finisce per vivere la fede come un?opzione personale, ritagliata su istanze anche momentanee, e non c?è preoccupazione di vivere la fede per il tramite della preghiera insieme ad altri uomini, nella loro compagnia. Che realtà e che verità c?è nel voler credere insieme, di vivere insieme la fede, nell?esser fratelli e non solo soggetti che praticano un consumo religioso! Dunque la contemporaneità ha smarrito questa dimensione collettiva della preghiera e con essa anche la capacità di rivolgersi all?Altro, magari per comprendere le ragioni degli altri esseri umani. Questo è l?aspetto propedeutico e direi anche pedagogico della preghiera: pregare vuol dire riconoscere la propria precarietà attraverso la frequentazione dell?altro, umano e divino, e delle sue implicite ragioni. Niente di più storico riesco a concepire. Vita: Esistono, secondo lei, altre tare nella fede postmoderna? Bianchi: Certo: un altro aspetto negativo dei giorni nostri è quello del sincretismo. L?individualismo cui accennavo prima, quello della ?fede fai da te? provoca il sincretismo. Il singolo si sente autorizzato alle più strane miscele religiose. Meditazione religiosa oggi è per l?uomo un bricolage di miscele quasi tumorali. Si guardi come la meditazione orientale, particolarmente di moda, provochi un particolare sincretismo che è anche schizofrenia interiore, una effervescenza superficiale senza fine e anche ridicola. Credo che non ci sia coscienza nella società umana del fatto che praticare le dottrine orientali significa vivere all?orientale. Noi viviamo all?occidentale, con tutte le immense contraddizioni che questo comporta, ma pratichiamo la fede all?orientale, con un risultato di assoluta astrazione dal piano della fede vera che è anzitutto adesione alla realtà. Come in ogni campo umano, erigere prodotti ibridi vuol dire procurare danno sul piano psichico. Errori di spiritualità provocano sempre una ricaduta nella patologia psichica. Nello specifico vanno tenute d?occhio queste religioni a struttura materna dove lo spirituale è un fusionale che propende verso l?unità simbiotica o cosmica, dove Dio non è Padre nostro ma oceano dell?essere. In esse manca l?incontro nella preghiera con il Dio Altro (quello tre volte santo, diverso dall?umano, della preghiera ebraica), ma invocano uno spirito indistinto che ha struttura simbolica materna e fa fare delle regressioni sul piano personale, invita a una fusionalità che non aiuta né la soggettività né la responsabilità nella storia e nella comunità umana: questo è il motivo per il quale un discorso sulla preghiera deve tenere presente lo status di fatto della fede e della religiosità del contemporaneo. E perché una corretta preghiera è un modo anche di incidere su se stessi per incidere sul mondo. Vita: Ma tutto questo che c?entra con la storia politica dell?uomo? Bianchi: C?entra assolutamente. Le ricadute di tanta deriva religiosistica sono visibili anche sulla polis e sulla convivenza civile planetaria: pensiamo al fondamentalismo che deforma la fede e la preghiera. Con il fondamentalismo le persone finiscono per vivere la fede in modo non più vitale ma rendono la preghiera un luogo di sicurezza e di identità, che mette al riparo dall?insicurezza di vivere. Vita: Insomma, secondo lei niente di cui stupirsi nelle parole del Papa sull?utilità del dire una preghiera antica come il Rosario… Bianchi: Assolutamente no: prendiamo finalmente coscienza che da quando l?uomo è comparso sulla terra e soprattutto si è manifestato nel linguaggio, ha preso a esprimere preghiera la quale, per chi sappia porsi all?ascolto, è un immenso, multiforme brusio in ogni tempo. L?uomo, da sempre, si è rivolto all?Altro, sconosciuto e ignoto, incontrato nella natura, negli eventi, in se stessi. L?Altro è l?assolutamente difforme da chi prega, da chi lo invoca come mancanza. Vi è preghiera, a qualunque latitudine della terra e in qualunque epoca storica, nel momento in cui l?Altro cui ci si rivolge è ciò di cui brucia la mancanza. Così l?invocazione diventa comunicazione tra piano umano e divino, e si manifesta non solo in un linguaggio verbale: la preghiera è gesto, o domanda e poi diventa lode di Dio o ringraziamento. Vita: Cosa differenzia questa preghiera da quella cristiana? Bianchi: Quasi mai, nelle culture religiose della storia compare il tema dell?ascolto, mentre nella fede di Israele e nel Cristianesimo l?ascolto è l?elemento posto alla base della preghiera. Sembra che nelle altre culture religiose non c?era la fiducia che l?uomo potesse ascoltare Dio: per la fede di Israele e per il Cristianesimo, solo se c?è ascolto è possibile la fede al punto che San Paolo continua a ribadire con una splendida formula «Fides ex auditu», cioè la fede proviene dall?ascolto e senza ascolto non ci può essere né fede né preghiera. Se è vero che l?invocazione è un fenomeno di tutte le religioni ci sono distinzioni da porre: nell?esperienza biblica Dio si rivela, precede la preghiera; Dio si consegna all?uomo e si fa conoscere. L?uomo è alla ricerca di Dio attraverso la preghiera ma se non è Dio a farsi conoscere ogni ricerca è vana. Luca Volponi


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