Welfare
L’inserimento lavorativocerca nuove frontiere
coop b Da Napoli la road map di Legacoopsociali per un settore cruciale per il welfare
di Redazione
Per la cooperazione di inserimento lavorativo è ormai tempo di cambiare rotta. Anche l’ultimo seminario di Napoli organizzato da Legacoopsociali ha lanciato un messaggio chiaro: la strada dello sviluppo non può prescindere dal ripensamento del proprio ruolo nel mercato e all’interno delle comunità. Anche perché nel welfare italiano sembra esserci sempre meno spazio per la politiche attive del lavoro e per una vera coprogettazione territoriale dei servizi. Non rimane allora che ripartire da quello sviluppo di comunità fondato sull’allargamento della rete territoriale. Ecco perché non stupisce che sia stata proprio la Campania a ospitare i due giorni di incontri organizzati da Legacoop proprio su questo tema. D’altronde è proprio nel Sud che le difficoltà del settore sono più evidenti. Basti pensare che solo nel Nord-Ovest operano il 35% delle coop di tipo B rispetto al 25% dell’intero Mezzogiorno. Eppure è proprio qui che si hanno i dati più allarmanti su disoccupazione e diffusione della povertà.
«In queste zone le politiche di inserimento lavorativo non hanno mai attecchito perché le amministrazioni hanno sempre preferito investire su altri tipi di intervento come per esempio i gruppi di lavoratori socialmente utili», osserva il vicepresidente di Legacoopsociali, Sergio D’Angelo, «inoltre gli enti locali non si sono mai spesi molto per favorire politiche sociali innovative e hanno costretto la cooperazione di tipo B a ricercare il mercato, sviluppando nuovi e autonomi modelli di azione». I casi di riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata, le sperimentazioni nel turismo sociale e nell’agricoltura sostenibile «sono la dimostrazione di come il rapporto stretto con il territorio di riferimento possa gettare le basi per nuove formule di welfare», continua D’Angelo. «Ora l’obiettivo è quello di sostenere queste sperimentazioni per evitare che rimangano solo testimonianze».
E una buona mano potrebbe venire da quei soggetti esterni alla cooperazione, come per esempio la Fondazione per il Sud, ma «bisogna cambiare mentalità», spiega D’Angelo. «Finora la fondazione ha fatto il grande errore di sostituirsi al pubblico senza peraltro rilevare i veri bisogni del territorio. In più il tentativo di creare nuove reti dall’alto non mi sembra una buona soluzione; ma lo stesso discorso vale anche per tutte quelle esperienze di distretto sociale che hanno puntato sulla formazione di network improvvisati. La vera sfida non è creare rete, quella c’è già, ora bisogna trovare il modo di sostenerla e rafforzarla, incentivando chi tenta di inventare nuovi percorsi, anche rivolti al mercato».
Discorso che vale per il Mezzogiorno, ma non solo. Perché esempi di innovazione strategica sono presenti un po’ in tutta Italia e soprattutto al Nord, ma a dominare è soprattutto la frammentarietà. «Non esiste un vero e proprio censimento di queste realtà, né una rete commerciale», osserva il coordinatore nazionale Legacoop della cooperazione di tipo B, Giancarlo Brunato. «Sarebbe perciò importante impostare un lavoro di conoscenza e di accompagnamento di queste cooperative, collegando tale lavoro alla valutazione di una vera e propria strategia di mercato. Se da un lato è strategico portare avanti l’idea di favorire nuove iniziative commerciali su mercati più “privatistici”, dall’altro è fondamentale ancorare la mission della cooperazione sociale alla “responsabilità pubblica”».
Perché la priorità è pur sempre quella di offrire soluzioni efficaci al problema della povertà e del disagio sociale. Ecco perché anche dal punto di vista dell’inserimento, Legacoop ha promosso un confronto serrato con l’Autorità per gli appalti e l’ex ministro della Solidarietà sociale sui temi delle clausole sociali e della revisione della legge 381 (vedi box sotto). Soprattutto l’emergere di “nuovi disagi” oggi richiede una nuova ottica di intervento, anche dal punto di vista legislativo. «Il mutamento delle condizioni di svantaggio inducono a ripensare le tipologie considerate per legge, introducendo una distinzione tra disagio permanente e temporaneo», propone Brunato. «Quelle persone che si trovano in condizioni difficili che momentaneamente riducono le capacità produttive o creano forme di esclusione sociale potrebbero beneficiare di percorsi di inserimento temporanei, di non oltre due anni, certificati e valutati anche dall’ente pubblico».
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