Politica

L’impresa sociale?È pronta alla sfida devolution

europa Una fotografia di grande dinamismo nel rapporto Emes

di Redazione

Cosa hanno in comune un gruppo di risparmiatori irlandesi che si prestano denaro a tassi di interesse ragionevole, un’agenzia di news sociale portoghese e un atelier polacco che vende souvenir fabbricati da persone affette da autismo? Sono attività con un fine sociale gestite con l’efficienza, il dinamismo e la libertà d’azione tipiche di un’ impresa profit. Imprese sociali, le chiama l’European Research Network (Emes) nel rapporto Social enterprise in Europe: recent trends and developments che fotografa un terzo settore caparbiamente orientato all’imprenditorialità anche quando i governi non gli riconoscono lo status di impresa sociale incentivandone lo sviluppo.

Una realtà più forte della legge
È il caso della Germania, che l’Emes definisce paradossale perché i business solidali «che per i media, l’accademia, il governo e il grande pubblico non esistono, sono oggi in prima linea nella gestione delle emergenze sociali». Ma forme di impresa sociale non riconosciuta come tale sono attive anche in Danimarca, dove oltre 9mila organizzazioni non profit sono coinvolte nella fornitura di servizi pubblici, e in Polonia, dove i progetti imprenditoriali ad alto impatto sociale operano con la ragione giuridica di fondazione o associazione. Oltre all’Italia, che nel 1991 per prima valorizzò l’imprenditorialità del non profit con la legge sulle cooperative e che ha recentemente approvato una legge sull’impresa sociale, solo il Regno Unito ha varato una normativa ad hoc e oggi può vantare 55mila imprese sociali che contribuiscono con 8,4 miliardi di sterline all’economia del Paese, l’1% del Pil.E il resto della vecchia Europa? In Francia, Spagna, Portogallo e Grecia l’idea di business sociale è legata a nuove forme di cooperative. Dalle société coopérative d’intéret collectif (Scic), create in Francia nel 2002 per consentire ad attori profit, non profit, pubblici e privati di lavorare insieme a progetti di sviluppo locale, alle cooperative de solidariedade social portoghesi che non possono distribuire dividendi ai soci.

Non solo inserimento lavorativo
La formazione e l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, che rimane uno degli obiettivi principali delle imprese sociali europee, non è però la loro unica mission. In Svezia e in Francia i servizi all’infanzia, giudicati carenti da genitori e professionisti del settore, sono oggi un cavallo di battaglia delle imprese sociali mentre nel Regno Unito si assiste a un boom di servizi legati all’assistenza agli anziani e disabili, alla costruzione e affitto di alloggi sociali, allo sport e alla cultura. Sviluppo locale è, invece, la parola d’ordine delle imprese sociali greche e irlandesi, dove gruppi di donne si associano nelle aree rurali per rilanciare il territorio. In Spagna e in Portogallo, ma anche in Polonia e in Finlandia, l’impresa sociale ha scelto come obiettivo la fornitura di servizi alla comunità e guarda all’Italia per l’apertura verso nuovi settori di utilità sociale come la protezione dell’ecosistema, l’educazione, il turismo responsabile e i servizi culturali.La sfida del futuro? È la stessa in tutta Europa: la devolution di servizi pubblici tramite gare d’appalto che tengano conto di criteri sociali. Vincerla, però, non sarà facile.

Devolution e voucher
La legislazione in materia di gare d’appalto pubbliche varia da Paese a Paese e, in alcuni casi, pone veri e propri ostacoli all’impresa sociale. È il caso della normativa svedese che impedisce alle autorità di tenere in conto fattori sociali e di riservare un trattamento preferenziale alle imprese sociali, come accade anche in Irlanda, Regno Unito, Portogallo e Spagna. Competere sul mercato con imprese profit solo sulla base di criteri finanziari resta un’impresa impossibile per gran parte del terzo settore europeo, ma Paesi come il Belgio stanno facendo da apripista imponendo la valutazione di impatto socio ambientale nell’assegnazione di un appalto pubblico. E, sempre in Belgio, si sta sperimentando un sistema di voucher per l’assistenza domiciliare di anziani e portatori di handicap che consente al cittadino di spendere come meglio crede il denaro pubblico a lui destinato.


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