Non profit

Così mi batto dall’Italiaper difendereil mio “paradiso perduto”

La testimonianza L'impegno di una migrante

di Redazione

Vengo dalla regione amazzonica della Bolivia, una zona del mio Paese meno conosciuta e popolata rispetto a quella andina, ma più estesa. Ormai da dieci anni da noi è iniziata l’emigrazione perché non c’è lavoro. Eppure l’Amazzonia è ricchissima di risorse.
Come cittadina migrante penso che per preservare questo enorme patrimonio del pianeta – che per me è un paradiso – serva soprattutto la sensibilizzazione degli abitanti. Solo quando sono andata via mi sono resa conto anche di quanto ricca è la mia terra. Chi abita nella foresta dà per scontato l’ecosistema meraviglioso che lo circonda. Pensa che gli alberi, i pesci, l’acqua pulita ci saranno sempre. Non riesce a comprendere che l’ambiente è minacciato. Per questo non ci si rende conto dell’importanza della tutela e della conservazione.
Ma una vera educazione al rispetto della natura non sarà possibile finché continueranno gli abusi nell’utilizzo delle risorse, come la pesca indiscriminata e illegale, la deforestazione, gli incendi dolosi e molte volte incontrollabili. Succede soprattutto in alcuni periodi dell’anno: vedi il fumo nero degli alberi che bruciano. Ti arrabbi, magari, ma allo stesso tempo sai che così la foresta dà spazio all’allevamento e all’agricoltura, che offrono opportunità di lavoro. Lo stesso vale per il taglio del legname.
In Amazzonia, poi, non esiste la raccolta differenziata e, anzi, i rifiuti vengono bruciati a cielo aperto. Si usano ancora sostanze nocive come il Ddt. Ci si sposta con mezzi di trasporto altamente inquinanti, di solito vecchi autobus e auto che in Europa, Giappone e Stati Uniti non si usano più. Un altro grosso problema è l’estrazione dell’oro dalle sabbie dei fiumi, fatta in modo altamente inquinante.
L’Amazzonia è ricchissima anche di risorse petrolifere, erbe e specie ancora sconosciute, caucciù, anch’esse sfruttate indiscriminatamente. Tutto ciò avviene senza un controllo dello Stato, nonostante in Bolivia esista una legge che tutela la foresta e l’ambiente, però non viene rispettata per mancanza di mezzi. Sottolineo ancora che è importante la sensibilizzazione della popolazione, magari inserendo nei curricula scolastici ore di educazione ambientale.
Ma resta il fatto che gli abitanti non sempre hanno i mezzi per fare scelte rispettose della natura. Qui, come ovunque manchi il lavoro, le persone sono fragili e vulnerabili. Nella ricerca di mezzi di sostentamento, badano ben poco all’ambiente, accettano di lavorare per gli industriali del legname, nelle fazendas, per i cercatori d’oro e persino per i trafficanti di specie protette come le tartarughe e il giaguaro. È una triste realtà.
C’è chi trova nella migrazione una possibile soluzione di sussistenza. Io vivo in Italia dal 2004. Faccio parte della Casa dei Boliviani di Bergamo. Assieme ad altre associazioni di colombiani, ecuadoriani e peruviani in Italia, lavoriamo al programma Juntos Por Los Andes. Si tratta del primo fondo italiano di questo genere, che opera così: per ogni euro raccolto dai migranti se ne aggiungono 4 donati da partner pubblici e privati. I primi progetti si stanno realizzando nelle Ande. Per il 2008-09 inizieremo la racconta fondi per l’Amazzonia. Avvieremo un progetto di cooperazione con l’Organizaciòn Comunal de la Mujer Amazònica, che coinvolge donne contadine in tre comuni della Bolivia: queste donne si sono autorganizzate per garantire il sostentamento dei figli e lavorano nel rispetto dell’ambiente.
Per me è stato difficilissimo migrare, staccarmi da quel paradiso. Ma adesso capisco che anche se non sono presente fisicamente lì, posso aiutare anche da qui.
www.juntosporlosandes.com

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