Cultura

cristiani e buddisti uniti dalla pietà

Parla l'arcivescovo cattolico di Rangoon. Che loda la solidarietà "trasversale" dei birmani

di Redazione

Da quando il ciclone Nargis ha colpito il suo Paese, non ha fatto altro che viaggiare tra le zone più colpite, cercando di coordinare gli aiuti e di dare sostegno alle popolazioni. «Ancora troppe persone non hanno il cibo necessario per sopravvivere, molti villaggi non sono stati raggiunti dagli aiuti e l’acqua potabile è un lusso», sono le parole di monsignor Charles Maung Bo, arcivescovo di Rangoon, l’ex capitale della Birmania. «Passato Nargis è arrivato il monsone, che sta provocando altri danni. I campi sono devastati, i raccolti distrutti. La gente viveva in capanne di legno e paglia, ma mancano anche le materie prime per ricostruirle». E le difficoltà negli spostamenti e la crescita del prezzo dei metalli rende tutto più difficile. «Ringrazio tutti quelli che ci hanno sostenuto», afferma l’arcivescovo, «ma vi prego di continuare a farlo. Ci sono ancora un milione e mezzo di senzatetto. Oggi l’impegno della Chiesa è quello di ridare loro una casa e far ripartire la pesca e l’agricoltura».
Salesiano, nato nel 1948 a Monhala, un villaggio nel centro del Paese, monsignor Bo è stato ordinato sacerdote nel 1976 e nel 1990 è diventato vescovo. Dal 2003 è a capo della diocesi di Rangoon. In Birmania, su una popolazione di 48 milioni di persone, i cristiani sono il 4% e i cattolici solo l’1%. Cifre forse scarse, ma non abbastanza per fermare l’impegno sociale della comunità. Lo dimostra il fatto che una delle prime organizzazioni a mettersi in moto per portare gli aiuti è stata Karuna, la Caritas nazionale.«I nostri volontari sono partiti subito», racconta monsignor Bo, «tra i primi soccorritori c’erano centinaia di seminaristi e di laici. Alcuni sacerdoti sono morti mentre tentavano di raggiungere i villaggi più minacciati, come don Andrew Son, travolto dalle acque e ritrovato solo diciotto giorni dopo. Ci stiamo muovendo, ma abbiamo molte restrizioni che ci frenano».
Il vescovo preferisce non parlare del regime e dei tanti ritardi nell’arrivo degli aiuti. Sono stati proprio i militari a vietare l’accesso al personale umanitario e ai mezzi che trasportavano i beni di prima necessità. In compenso loda l’impegno dei birmani e la loro compassione. «È un Paese molto religioso, dove i princìpi buddisti di bontà e carità sono punti fermi nella vita del popolo. Prima che arrivassero le ong, è stata la gente a raccogliere qualunque cosa potesse essere utile. Era commovente vedere la risposta di tanti poveri che hanno donato il poco che avevano per aiutare chi stava peggio». I cristiani lavorano con i buddisti, che qui sono la maggioranza. «Nei villaggi vicino a Phyapon, Karuna ha chiesto ai monaci di aiutarla a distribuire gli aiuti», racconta l’arcivescovo, che lancia un appello alla comunità internazionale: «Dobbiamo evitare che i bambini orfani finiscano in strada. Non dimenticateci, la gente della Birmania ha bisogno di voi».

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