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L’archistar e la comunità

La sinistra del sì A tu per tu con Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia

di Redazione

Quanto il Partito democratico conosce la sua gente? È quello che viene da chiedersi incontrando Graziano Delrio. Per un partito già in crisi d’identità, in vista di un congresso autunnale che non dovrebbe – ma potrebbe – mettere anche in discussione la leadership di Veltroni, che fatica a tenere insieme dalemiani e prodiani, cattolici e radicali, per un partito così c’è una classe di politici, come il sindaco di Reggio Emilia, che ogni giorno si confronta con una cosa molto reale: i cittadini. Persone che dei grandi temi della sinistra «gliene frega fino a mezzogiorno», ammette Delrio con una battuta. Perché sa che dalle sue parti, dove la Tav ha dato il suo meglio con i ponti di Santiago Calatrava, la gente dall’amministrazione pretende efficienza e concretezza.
Dal 2004 governa questa quotidianità da sindaco cattolico, eletto con il 63% dei consensi in una coalizione di centrosinistra, in una città che sta rapidamente cambiando pelle: a Reggio si conta uno tra i più alti tassi di stranieri residenti (il 13,2% su 160mila abitanti). Delrio ha 48 anni, è medico endocrinologo e di amministrazione se ne intende: ha 9 figli, quattro maschi e cinque femmine. Se è vero che in questo momento il Pd naviga un po’ a vista, lui è l’uomo giusto per leggere meglio quello che sta accadendo.
Vita: Partiamo dai ponti di Calatrava. Le infrastrutture significano cambiamento. Come lo vive la gente?
Graziano Delrio: L’infrastrutturazione della Tav con la stazione medio-padana e i ponti di Calatrava ha aiutato la città a identificarsi con nuovi simboli. Sono vissuti come una ricchezza e come una vera alleanza tra forze economiche, sociali e istituzionali per un salto di qualità e un grande investimento verso il futuro. Credo che oggi questi ponti facciano già parte della storia e della cultura dei reggiani esattamente come le piazze. E, soprattutto, uniscono bellezza e utilità.
Vita: Non sono certo modeste, come opere…
Delrio: Sciogliamo un equivoco: c’è un atteggiamento generalizzato secondo cui attraverso le si risolve gran parte dei problemi. Su questo noi non siamo molto d’accordo. Pensiamo anzi che una città che investe su questi segni del contemporaneo abbia anche bisogno di promuovere, al suo interno, sperimentazioni urbanistiche di giovani architetti, di persone che rischiano e osano con nuove opere. Da questo punto di vista a Reggio abbiamo alcuni segnali molto belli di innovazione culturale e paesaggistica: lo Spazio Gerra, dedicato alla fotografia, o il Parco Tocci sono esempi di rivisitazione della città come luoghi di connessione e comunicazione tra le persone. Gli spazi vanno pensati in questa direzione: non solo per piacere al gusto estetico, ma anche per favorire le relazioni, l’incontro tra le persone.
Vita: Avevate promesso 7 tangenziali in cinque anni e 6 sono già state realizzate. È un bel segno indelebile per le vostre campagne. Avete dovuto battagliare per realizzarle?
Delrio: Una battaglia contenuta. Il problema è stato gestito con i vari comitati della cittadinanza e di protezione dell’ambiente raggiungendo sempre compromessi alti, che tenessero insieme l’interesse particolare dei gruppi familiari toccati dall’infrastruttura con l’interesse generale. Devo dire che la gente di Reggio riesce ancora a vedere l’interesse generale. Riesce ancora a capire che fare una tangenziale significa liberare dal traffico una frazione, vuol dire garantire percorsi casa-scuola più sicuri ai loro bambini, vuol dire dare più vita di comunità a un piccolo centro.
Vita: Più difficile far accettare una nuova strada o un campo rom?
Delrio: Sicuramente un campo rom, perché intorno al tema delle persone emarginate c’è sempre una difficoltà per la comunità. A Reggio il campo più grande, composto essenzialmente di sinti, è di 110 persone, cioè 8 famiglie. In questo periodo stiamo ragionando sulla creazione di micro-campi in cui trasferire una singola famiglia, che si impegna con l’amministrazione a mandare i bambini a scuola e seguire progetti di inserimento lavorativo. Tutto questo, però, richiede un paziente lavoro di mediazione sociale ed investimenti economici. Ed è difficile far capire alla gente che spendere tempo e denaro per questi progetti è utile a tutti, perché previene la disuguaglianza e aumenta la sicurezza.
Vita: La sicurezza è il mantra del governo Berlusconi…
Delrio: Guardi, durante il governo Prodi l’Anci aveva presentato un “pacchetto sicurezza” volto a potenziare i nostri poteri di sindaci nelle ordinanze per il decoro, l’ordine pubblico, la tutela dei residenti. Il pacchetto va in Consiglio dei ministri e viene approvato. Ma poi non viene portato in Parlamento perché la sinistra lo trova eccessivamente legalitario e da sceriffi… Ma per favore! Questo è stato il problema del governo Prodi: perdersi in battaglie ideologiche, senza mai arrivare a una sintesi con le politiche locali e la vita quotidiana della gente.
Vita: Che chiede sicurezza.
Delrio: È una questione che non si può sottovalutare, lo dico da amministratore: affrontarla usando solo la parola sicurezza, però, è un approccio limitativo e rischioso. Si dovrebbe declinare, invece, la parola pace. Il bisogno di pace nei rapporti sociali, nella vita di condominio, nel passeggiare, nel convivere con i vicini di casa. Letta così, la sicurezza non coincide più solo con l’ostilità nei confronti del diverso. Non bisogna avere alcuna indulgenza con quanti non rispettano le regole, ma bisogna continuare a dire che siamo tutti un po’ stranieri e un po’ ospiti e ciò che ci rende cittadini è la nostra umanità.
Vita: Visto da qui, che futuro per il Pd?
Delrio: Avrà un futuro se sceglierà di partire dal basso, di fare dell’esperienza delle comunità locali la fonte delle sue strategie. Credo che il Pd debba fare un’offensiva culturale e amministrativa di rinnovata appartenenza alla comunità: non nel senso della Lega, ma sui valori che fondano la comunità: lavoro, cura, solidarietà.

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