Famiglia

una ninna nannasalverà il mondo

cultura Un musicista ha raccolto i "canti di culla" di donne da 40 Paesi

di Redazione

«Tutto ormai è stato codificato, divulgato, globalizzato. C’è un solo genere che non si piega all’omologazione: il canto di culla, la ninna nanna. Appartiene a tutte le civiltà e a nessun autore in particolare. Ogni madre, cantandola al suo bambino, la personalizza e la cambia. Così la ninna nanna ha varcato i confini del tempo e delle nazioni. È passata di generazione in generazione, mai la stessa e sempre uguale: dialogo intimo tra una madre e un figlio». Saverio Lanza, che di mestiere fa il compositore e il musicista, l’ha ascoltato, quel dialogo. Ha chiesto a tante donne, tutte straniere, di poter entrare nell’intimità della loro vita, dei loro ricordi. E ha accompagnato con la musica quelle voci, che cantano di luoghi e tradizioni lontanissimi dai nostri eppure così simili, nella semplicità del legame familiare. Un modo per conoscere la vita degli stranieri che, in Italia, tentano un cammino d’integrazione. Il lavoro che ne è uscito è un disco straordinario che s’intitola madreLingua.
Vita: Qual è stata la prima ninna nanna che ha registrato?
Saverio Lanza: Quella di una donna rom, in un campo nomadi a Firenze. Era un’anziana seduta accanto a una culla, accudiva il bambino di una giovane madre impegnata al lavoro. Ha intonato a fatica il suo canto, con voce asmatica e stonata. A riascoltarla, sembrava un pezzo inutilizzabile, eppure…
Vita: Eppure?
Lanza: Saper accogliere musicalmente una voce sbagliata è simile all’accoglienza di chi è diverso da noi. Dello straniero, dell’immigrato, del povero. Comporre un pezzo per orchestra che valorizzasse quel canto, per me ha significato creare un dialogo in cui voce e strumenti si influenzano, al punto da non poter più capire da dove scaturisce la melodia. Proprio come nell’incontro di due linguaggi e due culture: alla fine non sai quanto loro hanno cambiato te, o tu abbia cambiato loro.
Vita: Per questo ha scelto le donne straniere?
Lanza: L’ho fatto prima di tutto perché avevano qualcosa di bello che andava soltanto incorniciato. Quello che più mi piace, come artista, è infilarmi nella realtà. Scoprire un tesoro in ciò che già esiste, che è da sempre sotto i nostri occhi e non ha bisogno di essere fabbricato, ma solo valorizzato. Queste voci sono così, partono e non sanno dove stanno andando, proprio come le donne che arrivano in Italia con il coraggio della sopravvivenza, capaci di mollare tutto per dare una vita migliore ai loro figli.
Vita: India, Albania, Giappone, Iran: cosa accomuna questi canti di culla?
Lanza: Ho registrato più di 40 brani di Paesi diversi. Alla fine ho dovuto fare una dolorosa cernita, ma ciò che è rimasto è soprattutto un incontro umano e musicale intensissimo. Non è facile chiedere a una donna di esprimere proprio a te, uomo e straniero, una cosa così intima. Alcune di loro hanno intonato una canzone e poi si sono commosse, hanno iniziato a raccontare storie di figli rimasti nei Paesi d’origine, interrotte dalla guerra o dalla miseria. Ho chiesto loro di scrivere i testi delle canzoni e li ho fatti tradurre, volevo metterli nel booklet del disco, poi ho cambiato idea.
Vita: Perché?
Lanza: Questo non è un lavoro etnomusicale. I testi avrebbero irrigidito l’esperienza dell’ascolto, l’avrebbero incanalata in un orizzonte di senso. Invece la ninna nanna è un lasciarsi andare ai suoni delle parole e al significato che evocano, come succede ai bambini. Spesso non capire è importante.
I latini per definire il canto di culla usavano lallum che rimanda al dormire, così come il tunisino nanni e l’egiziano ninne. Analoghi significati hanno i termini indiani navna – chiusura degli occhi – e nisna – altalenare. Ci sono fonemi che ricompaiono perché derivano dalla stessa radice linguistica con lo stesso significato. Contrariamente a quello che si può pensare, poi, le ninne nanne raccontano spesso storie spaventose, le fiabe dei fratelli Grimm non hanno nulla da insegnare.
Vita: Ci sono differenze tra Paesi?
Lanza: Diciamo che ci sono vere e proprie ninne nanne ma anche filastrocche che le donne della famiglia, non necessariamente le mamme, cantano quando accudiscono i bambini. Alcune non si cantano davanti agli uomini. Nei testi emerge la fatica del vivere quotidiano della donna, di qualsiasi latitudine. La canzone romena, ad esempio, parla della mamma che è andata all’ospedale perché ha perso un bambino, ma forse tornerà.
Vita: Lei è stato aiutato dall’associazione Nosotros, ente interculturale di donne, con una presidentessa somala, che l’ha condotto attraverso i centri d’accoglienza. Come è andata?
Lanza: Sono stato accompagnato in un mondo che non conoscevo. In una casa di accoglienza a Scandicci, dove sono ospitate le extracomunitarie arrivate in Italia senza documenti con i loro bambini, vivono insieme cingalesi e cinesi, nigeriane e albanesi, in un rapido turn over. La lingua comune è l’italiano. Una complicità femminile nella totale incomprensione linguistica che è anche un segno di speranza, una cosa che solo le donne sanno fare.


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