Economia

Ma non possiamo più stare nei nostri gusci

La riflessione del responsabile politiche sociali di Ancc-Coop

di Redazione

di Gian Carlo Marchesini
È risaputo che la risposta alla domanda «Chi sono io?» è legata a come io definisco il diverso. Non a caso costruzione e definizione di identità/diversità sono tra i principali presupposti di qualsiasi relazione individuo-società duratura e proficua. Io e l’altro da me, l’identità e la diversità, sono costellazioni e nodi – psichici, esistenziali, culturali – tra i più soggetti, come effetto dei processi di globalizzazione, a tensione, messa in discussione, mutamento.
Chi reagisce ai pericoli del nuovo e alla spinta del cambiamento richiudendosi dentro la roccaforte del sentimento identitario, restringe lo spazio di attenzione nei confronti di chi gli è diverso. Viceversa, chi in assenza di una propria sufficientemente strutturata identità si apre al flusso di novità di cui è portatrice la globalizzazione, rischia subalternità e annichilimento.
A dedicarsi soltanto alla cura delle proprie radici, ci si rifugia nel cerchio magico di uno sterile esorcismo, perdendo così opportunità e stimoli di cui sono portatori i processi globali. Chi rinnega la propria storia per assecondare il flusso delle novità, rischia la dissipazione.
Vulnerabilità e interdipendenza sono intrinseche alla situazione sopra richiamata. Se il rimescolamento è generale, se una messa in discussione di schemi, assetti ed equilibri riguarda tutti, tutti prima o poi si trovano a fare i conti con occasioni e opportunità, con minacce e pericoli. Ritenere di cavarsela da soli – come impresa, gruppo o settore, cordata o corporazione, area geografica o Paese – è tentazione forte. Con gli squilibri economici, le disuguaglianze sociali, lo stato attuale di salute del pianeta, è scelta miope.
Vale la pena di ricordare che il bisogno di cooperare sorge quando si è consapevoli della propria fragilità: ma anche del fatto che, cooperando, lo svantaggio di partenza può essere trasformato in forza. Non bisogna però vergognarsi della debolezza come radice comune, anzi, con quella radice è necessario restare in contatto: evitando così il pericolo dell’indifferenza al dolore altrui.
Di solidarietà non esiste però un solo modello. C’è la solidarietà che è propria del branco e della cosca. Dietro quella solidarietà si cela il tipo umano rancoroso, che tende a trascinare in basso ogni spinta alla grandezza e alla creatività per farne oggetto di scherno, per ridurle alla propria angusta misura. Al contrario, la vera solidarietà mutualistica si nutre di apertura, e porta il sigillo della magnanimità. Coniugare libertà individuale e responsabilità solidale collettiva è sfida oggi più che mai necessaria. Un mondo che è casa dove in una stanza si spreca e nell’altra si crepa, è difficile possa andare avanti.


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