Welfare
errori di una cacciatrice di serpenti
Diari Otto anni di Carla Del Ponte al Tribunale internazionale
di Redazione
Si può offrire giustizia alle donne di Srebrenica, che continuano a seppellire figli e mariti vittime del genocidio in Bosnia? «Molte di loro [mi] parlano? e l’unica cosa di cui parlano è la giustizia». O ai sopravvissuti rwandesi, a quella donna violentata, picchiata e abbandonata pensandola morta. «Ditemi cosa dirle. Mi dispiace?».
La giustizia, per Carla Del Ponte, è una cosa lineare: punire i colpevoli. Dargli la caccia, processarli e condannarli. Da magistrato svizzero si confronta con mafiosi, politici corrotti, trafficanti. Giovanni Falcone è un riferimento morale, oltre che un amico. Nel 1999 diventa Procuratore capo dei Tribunali internazionali per l’ex Jugoslavia e il Rwanda. Il suo imperativo di giustizia si scontra con gli orrori della guerra, ma anche con la resistenza di diplomazie abituate a mediazioni e ipocrisie più che al rigore della legge. La caccia è il resoconto di questi otto anni, trascorsi tra le due sedi de L’Aja e Arusha. Scritto con il giornalista Chuck Sudetic, è un diario secco, denso di particolari sul lavoro dei Tribunali e sui colloqui con tanti leader.
Testardo come la protagonista: «L’unico modo che conosco per sfondare il muro di gomma consiste nel cercare, con costanza e persistenza, di imporre la mia volontà». Alcuni la accusano di essere ingenua, e di ignorare le necessità della realpolitik. Per altri è più politico che magistrato. All’Onu Kofi Annan la rimbrotta: «Tutti [gli stati membri] non fanno che lamentarsi».
Il libro è un bilancio sincero che non ignora le sconfitte. Dal Tribunale per il Rwanda viene allontanata su pressione britannica. Latitanti illustri come Ratko Mladic e Radovan Karadzic restano in libertà. Ammette anche errori giuridici, perché «sono più una cacciatrice di serpenti che una studiosa di diritto». Ma soprattutto emerge la fiera determinazione, l’impegno appassionato di chi si sente nel giusto. Mai un dubbio che il Tribunale internazionale possa fiaccare anziché rafforzare la giustizia ordinaria locale. Pochi accenni alle memorie divise e alla difficile riconciliazione tra comunità. La Del Ponte ha una fiducia incrollabile: «La giustizia internazionale rappresenta l’unica alternativa all’impunità».
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