Mondo

Natale in Iraq. Una testimonianza. A Bagdad si scruta il cielo

Parla Lisa Clark, di Beati i costruttori di pace, appena tornata dalla capitale irachena. "Eppure là tra cristiani e musulmani sarà un natale pacifico".

di Emanuela Citterio

Petrolio in cambio di cibo. Non si muore più di fame, in Iraq. Grazie a un programma monitorato dalle Nazioni Unite. Di sei mesi in sei mesi il governo può vendere un certo numero di barili di petrolio per acquistare generi di prima necessità per la popolazione. Ma questo Natale a Bagdad la gente vive con la certezza di una guerra. E per ricadere nel baratro della fame basta pochissimo. A denunciarlo è Lisa Clark, dei Beati i costruttori di pace, di ritorno dalla missione di pace che ha visto coinvolti parlamentari italiani e rappresentanti della società civile. Alcuni membri dell?associazione saranno a Bagdad subito dopo Natale. Vita: Come vivrà il Natale la popolazione irachena? Lisa Clark: Con la certezza che inizieranno i bombardamenti. In Iraq abbiamo partecipato alla festa per la fine del Ramadan. Ci ha colpito molto il fatto che le persone facessero festa, la loro voglia di vivere. Ma siamo rimasti altrettanto impressionati dal fatalismo che pervade la popolazione irachena. Tutti sono sicuri che i bombardamenti ci saranno. E sono convinti che questa sia una guerra contro di loro, contro tutta la popolazione. Dopo anni di embargo sanno che il risultato, in ogni caso, sarà questo. Vita: Quali sono le condizioni attuali della popolazione? Clark: L?embargo dura ormai da 12 anni. È stato calcolato che le sanzioni economiche in vigore dal 90, che impediscono all?Iraq gli scambi economici, hanno direttamente provocato la morte di un milione e 600mila persone. Da un paio d?anni le Nazioni Unite sono riuscite a riequilibrare la situazione con un programma che permette al governo, sotto stretto controllo, di vendere determinati quantitativi di petrolio per acquistare generi di prima necessità, alimentari ma anche medicine per la sanità di base. Così ora la gente non muore più di diarrea o di fame. Il programma, partito nel 96, ha permesso di rimettere in piedi un minimo di assistenza umanitaria. Si tratta, comunque, di una situazione terribile: una società che si è assestata sull?emergenza, senza prospettive di sviluppo. Vita: Cosa ci si aspetta nei prossimi mesi? Clark: Se ci sarà davvero un attacco, le conseguenze saranno devastanti per la popolazione. Non solo a causa dei bombardamenti. Ma proprio perché il programma che permette la sopravvivenza sarà interrotto. E gli iracheni ripiomberanno nel baratro da cui sono appena usciti. Vita: Che significato ha avuto, e avrà in futuro la presenza di rappresentanti della società civile italiana in Iraq? Clark: La prima missione, all?inizio di dicembre, aveva lo scopo di manifestare la solidarietà nei confronti della popolazione da parte della società italiana contraria alla guerra. Ma anche di raccogliere informazioni sull?embargo e sull?entità dei danni che una guerra potrebbe causare. Siamo partiti in 30, metà erano parlamentari e l?altra metà membri di diverse associazioni. Oltre ai Beati hanno partecipato gruppi che lavorano per la pace come Pax Christi, la rete di Lilliput, l?associazione Un ponte per, il consiglio internazionale dei Social forum, e rappresentanti di ong. Il gruppo che si sta preparando a tornare in Iraq, alla fine di dicembre sarà più numeroso. L?intenzione è duplice: dimostrare vicinanza alla popolazione e far sapere che questa guerra avrà dei volti. Di uomini, donne e bambini. Vita: Come festeggeranno il Natale le diverse comunità religiose? Clark: L?Iraq ha una tradizione di convivenza multireligiosa e multietnica che va avanti da secoli. Purtroppo più voci ci hanno confermato il fatto che negli ultimi anni questa caratteristica di laicità e pluralismo è stata lentamente erosa. Anche a causa dell?emergenza provocata dall?embargo, e della spinta a creare un?identità patriottica più forte. Il vescovo di Bagdad ci ha confermato che c?è totale libertà di culto per i cristiani, che rappresentano il 3% della popolazione. Come ogni Natale, i musulmani andranno a fare gli auguri ai loro vicini cristiani. Noi lo speriamo davvero.


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