Economia

La congiunturain Africa? Il pane vale oro

crisi globali Prezzi alle stelle per riso, latte e farina

di Redazione

In Africa occidentale lo chiamano ormai “il valzer delle cifre”. Una danza mortale che sta mettendo in ginocchio famiglie intere costrette a fare i conti con la più grave crisi di consumo degli ultimi vent’anni. Dakar, Abidjan, Bamako, Lomé o Ouagadougou, non fa differenza: mai a memoria d’uomo i prezzi dei prodotti di prima necessità sono cresciuti così vertiginosamente.
Le ultime rilevazioni statistiche fornite dal settimanale francofono Jeune Afrique sono impietose: tra dicembre 2007 e febbraio 2008, le tariffe dei beni primari sono schizzate alle stelle con una media del 30-40%. Sui mercati di Abidjan, in Costa d’Avorio, un chilo di farina viene attualmente venduto a 350 franchi Cfa (contro 250 franchi Cfa di tre mesi fa), mentre a Douala (Camerun) il costo di un litro di olio di palma è passato da 500 a 1.200 franchi Cfa (+140%). Assieme alla carne, al latte e ai legumi, il riso (+30% in Burkina Faso), il mais (+46% in Togo) e lo zucchero (+50% in Camerun) sono i prodotti più sensibili su cui si stanno abbattendo gli effetti negativi dell’attuale congiuntura mondiale.
Tra il boom degli biocarburanti e la fame divorante dei consumatori cinesi e indiani, i cereali sono diventati soggetti ai desideri più folli. Non solo. La crisi del dollaro e l’ascesa del barile di petrolio stanno mettendo a durissima prova il settore dei trasporti. Risultato: la consegna delle derrate alimentari e l’importazione di prodotti si rivelano sempre più costose.

Riso col contagocce
Célestine è l’ultimo tassello di una catena di distribuzione avara come non mai. Per questa giovane casalinga di Libreville, in Gabon, sono tempi duri: «L’anno scorso mi bastavano 50mila franchi Cfa al mese per fare la spesa, ora come minimo mi ci vogliono 70mila franchi». Sulla punta estrema della costa occidentale dell’Africa, a Dakar, Djiby Camara ricorda con nostalgia spese alimentari mensili che non superavano i 30mila franchi Cfa. «Oggi ne spendo più di 40mila».
Grande consumatore di riso, il Senegal importa in media oltre 800mila tonnellate per consentire ai senegalesi di soddisfare il loro appetito con un piatto insostituibile: il thiéboudienne. Ma il Vietnam, principale cliente del governo, ha interrotto le sue esportazioni verso l’Africa privilegiando destinazioni molto più attraenti come Stati Uniti, Europa o Cina. In compenso, si sono fatti avanti India e Thailandia. «Con il contagocce», precisa una fonte del ministero del Commercio. Messo alle strette, il governo del presidente Wade ha inizialmente sospeso la sua tassa doganale sul riso fissata al 10%. I risultati sono stati talmente scarsi da incrinare ulteriormente il già fragile equilibrio della spesa pubblica. Impossibilitate a raschiare il fondo del barile, le autorità amministrative se la son presa con i grossisti accusati di sfruttare la crisi per ampliare i loro margini di guadagno.

Filiera in crisi
Secondo Ndiogou Fall, presidente della Rete delle organizzazioni contadine e dei produttori dell’Africa occidentale, «per troppi anni i nostri governi hanno sovvenzionato i prodotti importati tralasciando totalmente le riforme agricole necessarie per fronteggiare la globalizzazione. L’aumento dei corsi sui mercati internazionali non ha fatto altro che mettere a nudo le nostre debolezze».
Nonostante una produzione cerealicola pari a 135 milioni di tonnellate sulla campagna 2007-2008, le importazioni supereranno infatti 36 milioni di tonnellate, l’equivalente di 13,4 miliardi di franchi Cfa (+50%). A chi toccherà pagare?
Le violenze esplose dal febbraio scorso in Camerun (100 morti), Burkina Faso, Senegal e Costa d’Avorio (un morto) sono la conferma che le politiche di sovvenzioni non bastano più a proteggere contadini e consumatori. Entrambe le categorie sono rimaste vittime di politiche economiche sciagurate.
Un rapporto della Banca mondiale rivela infatti che dal 1990 ad oggi, il peso della voce “agricoltura” negli Aiuti pubblici allo sviluppo è passato dal 12 al 4%. Intanto, i budget predisposti dai governi africani per sostenere le loro filiere agricole non superano il 4% delle spese pubbliche, contro il 14% dell’Asia.


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