Famiglia

Da negatività a risorsagrazie al facilitatore

Specializzazioni Per risolvere i conflitti in aziende ed enti

di Redazione

Nelle riunioni di lavoro a volte capita che qualcuno non riesca a intervenire per timidezza o perché non è messo nelle condizioni per farlo, o che si pongano degli obiettivi che il gruppo poi non riesce a seguire. Ci sono presidenti di associazioni che non riescono a coinvolgere gli associati, e associati che invece fanno fatica a interloquire con il direttore.
Per sciogliere queste e altre situazioni c’è il facilitatore, una professione ancora poco conosciuta in Italia, ma emergente, tanto che da qualche anno è attiva la scuola per facilitatori in tre sedi: Bologna, Roma e Pistoia. Andrea Arnone è il coordinatore didattico della scuola di Bologna. «Il facilitatore aiuta i gruppi a lavorare meglio e a creare e mantenere il benessere. Infatti è importante cosa stiamo facendo, ma anche come lo stiamo facendo, che vuol dire rispetto della persona».
Il facilitatore lavora all’interno di contesti sociali e aziendali. «Siamo chiamati in situazioni conflittuali», spiega Arnone, «anche se il nostro ruolo vuole essere soprattutto preventivo. Quando arriviamo dobbiamo trasformare le negatività in risorse. Dobbiamo partire dal disagio emotivo, dai no, dalle difficoltà, e viverli come elementi potenziali per capire meglio le cose»,
Per fare questo ci sono tecniche che si basano sulla biosistemica, diffusa in Italia dalla omonima scuola. «In questo momento ci sono diverse possibilità per operare come facilitatore. La prima è quella di diventare facilitatore professionale, che come libero professionista è chiamato dall’azienda o dall’ente e fornisce la propria consulenza in merito ad una determinata situazione. Altre volte invece è l’azienda che decide di investire e forma suo personale, tecnico o direttivo, che interviene quando c’è bisogno. Altre volte ancora a diventare facilitatori sono top manager, che tengono settimanalmente molte riunoni dove tornano molto utili le competenze di facilitatore».
I contratti di lavoro che i neofacilitatori possono ottenere sono soprattutto di consulenza, con tariffe che variano dai 60 ai 100 euro l’ora secondo l’esperienza. Nel caso siano dipendenti di un’impresa, il riconoscimento della specializzazione sarà oggetto di una trattativa con il datore di lavoro.
Più che seguire un determinato percorso universitario, per diventare facilitatore occorre avere requisiti personali molto precisi.«Grande facilità nei rapporti interpersonali», dice Arnone, «attenzione e reattività. Ci troviamo, infatti, in contesti sconosciuti che spesso richiedono adattamenti in corso d’opera». Se non è importante il tipo di laurea, fondamentali sono i corsi di specializzazione. La scuola italiana per facilitatori offre un corso di 130 ore. Lezioni dall’11 aprile sino a gennaio 2009. Quota 1.300 euro, 150 euro per la frequenza del singolo modulo.


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