Non profit
Gli americani hanno perso due milioni di case
conti in rosso Un elemento dirompente sulla campagna americana
di Redazione
La crisi economica statunitense, cominciata con il rallentamento del mercato immobiliare, è la storia di come il sogno americano possa finire in polvere. È la storia, riportata dal Wall Street Journal, di Raymond Dixon, un 36enne del Michigan, installatore di sistemi di sicurezza, con moglie e sei figli. È anche la storia di Joe e Mary, raccontata al sito web californiano Doctor Housing Bubble. Giovane coppia di Los Angeles, lui è un consulente finanziario, lei un’agente immobiliare. Assieme guadagnano 130mila dollari l’anno. Anche Casey Serin, che fino all’estate scorsa ha tenuto un blog sulle proprie disavventure (iamfacingforeclosure.com), condivide lo stesso destino. Nel 2005, appena ventiquattrenne, aveva creduto di poter diventare milionario grazie alla speculazione immobiliare. È anche la storia del gigante Fanny Mae, l’istituzione creata dal governo nel 1938 e oggi interamente finanziata con capitali privati, che ha lo scopo di garantire la disponibilità di credito alle famiglie americane che vogliono acquistare casa.
Sotto l’euforia, però, la crisi aveva già messo radici. Nicholas Von Hoffman scriveva su The Nation nel marzo 2007. «Per ottenere un prestito da una banca bastava provare d’essere in vita. Non ti puoi permettere di versare un anticipo sull’acquisto? Non ti preoccupare. Hai una storia creditizia abominevole? Non ci guarda nessuno. Non hai un soldo in banca? Non facciamo domande imbarazzanti. Diamo solo via prestiti».
Tutti speravano di approfittare del rialzo dei prezzi grazie al sistema dei mutui subprime, prestiti che richiedono pochissime garanzie da parte del debitore e che però offrono condizioni pessime e tassi d’interessi da usura.
Raymond Dixon prese in prestito 180mila dollari nel 2004 e comprò una casa a Detroit. Nello stesso anno Joe e Mary, nonostante avessero già un debito di decine di migliaia di dollari accumulato con le carte di credito, firmarono un mutuo subprime e acquistarono una casa per 675mila dollari. E Casey, che per cominciare la propria scalata al sogno americano aveva comperato otto proprietà nel 2005, si rivolse esclusivamente a prestiti subprime.
Nemmeno le istituzioni finanziare si preoccupavano delle insolvenze. Grazie a strumenti raffinati, come ad esempio le obbligazioni collateralizzate di debito, il debito contratto dall’individuo era rivenduto dalla banca ad altre istituzioni finanziare e da queste ad altre ancora. Il debito passava di mano in mano, diviso in parcelle, rivalutato, e alla fine non si sapeva più chi era responsabile per l’ammontare di denaro originario.
Infine, il mercato immobiliare cominciò a rallentare. L’architettura finanziaria, che aveva tenuto insieme il sistema, ha ceduto. Le case hanno perso di valore e le famiglie americane non sono più state in grado di ottenere il rifinanziamento dei mutui. I debitori, costretti ad affrontare gli interessi da usura dei prestiti subprime, hanno smesso di pagare le rate e hanno dovuto riconsegnare le proprie abitazioni alle banche. Le istituzioni finanziare mondiali, travolte dalle insolvenze, hanno ammesso perdite di miliardi di dollari, dichiarato bancarotta, chiesto l’intervento dei governi.
Nel 2007 circa 1 milione e 300mila proprietà immobiliari sono tornate nelle mani delle banche, il 79% in più rispetto al 2006. Il ministro del Tesoro americano Henry Paulson ha ammesso che questo numero potrebbe raggiungere i 2 milioni nel 2008.
Gli effetti della crisi immobiliare si sentono già negli altri settori dell’economia, con la diminuzione dei consumi e il rischio di stagnazione. La Federal Reserve è intervenuta tagliando ripetutamente i principali tassi d’interesse (federal funds rate e discount rate) per iniettare liquidità sui mercati. Il 13 febbraio, Bush ha firmato un pacchetto per 152 miliardi di dollari, ma per ora non si è reso disponibile ad approvare altre misure nonostante le pressioni del Congresso. Intanto il dollaro è sceso sino al suo nuovo minimo storico, scambiato per 0,66 euro venerdì 29 febbraio contro gli 0,77 di 12 mesi prima.
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