Welfare

San Vittore. Il j’accuse del direttore. Quei raggi senza luce

Racconta Luigi Pagano, direttore del carcere più famoso d’Italia: "Ho portato Casini al sesto raggio. Una visita che fa male". Ed un breve commento di Luigi Manconi.

di Ettore Colombo

Il mio Natale 2002? Uguale a quello di tutti gli altri anni. Una bicchierata con gli agenti, a mezzanotte, e poco prima o poco dopo una fetta di panettone con i detenuti. è il momento più difficile per tutti loro, Natale. Ma i volontari che operano in carcere saranno lì anche a Natale e Capodanno. Vuole che non ci siamo noi?». Il dottor Luigi Pagano, napoletano verace, da grande voleva fare il penalista. Invece è finito a fare il direttore. Di carcere. A Milano, per di più, una pena nella pena per uno come lui, partenopeo, a San Vittore, la vera Malebolgie degli istituti di pena italiani, forse il carcere per antonomasia in tutt?Italia. Pagano governa una casbah umana di 1.400 persone («persone, uomini e donne in carne e ossa») che sembrano pochi, oggi, rispetto ai 2.200 di un anno fa, tanto che non si dice e scrive più «San Vittore sul punto di scoppiare», «Invivibile la situazione a San Vittore», «Dramma a San Vittore», ma ciò non toglie che governare un carcere come questo, nel cuore più antico e nobile di Milano, non è un lavoro né una missione. è una continua corsa contro la morte e per la vita. Perché anche i detenuti ce l?hanno, il diritto a una vita. Solo che nemmeno uno come Pagano, con la sua bonomia arguta e con il suo spirito da napoletano verace riesce sempre a farlo capire, a chi di dovere, quanta pena fa, e comporta, il pianeta carcere. Se 1.400 vi sembran pochi Uno come l?assessore comunale di Milano allo Sviluppo del territorio, Giovanni Verga, il maggior indiziato per sapere cosa e quando accadrà del certo ?cambio di destinazione d?uso? dell?intera area di San Vittore, nel prossimo futuro, l?ha capito al punto che, da privato cittadino e da assessore, s?è fatto vedere, in loco, in un giorno importante, quello della festa di Natale dei detenuti, corredata dalle visite e dai discorsi di Casini, Castelli e varie autorità. «Io non posso dirvi come voterà il Parlamento, ma vi posso assicurare che voterà». Alla frase segue un boato. Il presidente della Camera Pierferdinando Casini fa capire che intende impegnarsi in prima persona perché sia seriamente preso in esame, da parte del Parlamento, un possibile provvedimento di amnistia o indulto. E lo fa proprio in occasione della visita che ha compiuto a San Vittore una settimana prima di Natale e nell?ambito della festa della musica che quelli di Radio Italia hanno voluto regalare ai detenuti del carcere. In quell?occasione, nel braccio centrale del carcere, dove era stato allestito anche il palco per il concerto, è stata letta una lettera aperta promossa dal ?gruppo di lavoro? dei detenuti di San Vittore, una trentina di condannati a pene definitive che lavorano fianco a fianco dell?amministrazione penitenziaria per migliorare la vita di chiunque stia in carcere, detenuti e non: «Che sia messa la parola fine al crudele dibattito sull?indulto, la parola fine, qualunque essa sia», implorava a voce alta, uno di loro, Dino Tachini, la voce rotta dall?emozione: «Siamo maturi per accettare tutto, ma l?incertezza uccide: nessuna metafora, nel senso letterale del termine». Ad ascoltare queste parole anche il ministro di Giustizia, Roberto Castelli. Il cui discorso, un inno al lavoro (egregio) della polizia penitenziaria, alle polemiche sul carcere figlie di «pretestuosi attacchi al governo», è stato accolto da un gelido e imbarazzato silenzio. Eccetto, s?intende, qualche clap clap di circostanza. Siamo lasciati soli Eppure, un Pagano visibilmente teso difende Castelli: «San Vittore è il primo carcere che il ministro ha visitato. Lui è uno che conosce bene tutti i nostri problemi. Anche al suo operato si deve il parziale svuotamento di San Vittore, anche se di tale necessità non è stato investito solo l?istituto di Bollate, ma anche altri istituti della Lombardia e anche fuori regione, molto distanti. Uno sradicamento doloroso, per detenuti che avevano a Milano la loro base d?appoggio, ma una necessità. Anche al presidente Casini, che veniva qui per la prima volta e che ha voluto fortemente questa visita, non abbiamo occultato nulla: lo abbiamo portato nel VI raggio, il peggiore, quello con la situazione più critica. Una vista da pugno nello stomaco, che fa male. Io spero davvero che le Camere prendano provvedimenti, però voglio anche dire una cosa: mi riconosco molto nelle parole che i detenuti e le detenute di San Vittore hanno rivolto al presidente della Camera nella loro lettera aperta, chiedendo sì provvedimenti di clemenza, ma chiedendo anche di applicare e far rispettare le leggi che ci sono, quella sulle detenute madri, quella sulle tossicodipendenze, la Simeone-Saraceni e altre. Perché, paradossalmente, anche l?indulto o l?amnistia risolvono situazioni di sofferenza eccezionali, ma rischiano in poco tempo di ripresentare gli stessi problemi». Insomma, sembra proprio uno cui non vada bene nulla, Pagano. O forse è solo dotato di sano pessimismo della ragione. Quello di chi in carcere ci vive ogni giorno e che non chiede la luna, ma quello che ritiene sia giusto. «Tutti dicono il Parlamento, il Parlamento? Io mi chiedo cosa fanno gli enti locali, la Regione in testa, ma anche la Provincia e il Comune, cui spetta per dovere costituzionale e legislativo di occuparsi del carcere di San Vittore. Il tessuto sintetico per il campetto di calcio, struttura nuova che abbiamo da poco inaugurato, costa meno di 10mila euro. Il ministero per noi affronta una spesa di milioni di euro, quindi potremmo sopperire alla spesa. Ma tocca al Comune. Cosa aspetta? Non so se San Vittore, prima o poi, verrà trasferito, ma so che è un quartiere della città, una città nella città. Anche la Regione, nel campo del reinserimento sociale e del lavoro esterno, fa poco, mentre avremmo tanto bisogno di offrire a queste persone opportunità vere di lavoro non solo interno, come pure facciamo, e bene, ma anche vero, quando escono, per evitare che tornino a delinquere, per reimmetterli in un tessuto sociale. Poi, certo, con la Regione abbiamo messo in piedi un presidio sanitario che è il nostro fiore all?occhiello, ma non basta, mi sento di chiedere di più». Il terzo nuovo di zecca Anche i detenuti che abbiamo visto alla festa della musica, chiedevano, a gran voce, di più. E molti chiedevano, dall?altra parte delle sbarre, ma in una situazione di ?libertà? reale, di guardare non solo al bicchiere di un carcere mezzo vuoto in quanto decongestionato di 800 e più unità, ma a dei raggi interi ancora mezzi pieni e straboccanti di umanità dolente, come il VI raggio, sovraffollato al punto di scoppiare a causa della chiusura del V raggio per lavori e nonostante l?apertura del III. Un modello di raggio, nuovo di zecca, come anche il penale e il femminile, ma anche il II, in via di ristrutturazione: «Per ogni detenuto un posto letto, celle a norma di regolamento, vite decenti per ogni detenuto. Questo vogliamo». Parola di Luigi Pagano, direttore di carcere, a Milano. L?incertezza uccide Venerdì 20 dicembre, Dino Duchini, detenuto a San Vittore, si è rivolto al presidente della Camera e al ministro della Giustizia, in visita a quel carcere, con le seguenti parole: «Che sia messa la parola fine al crudele dibattito sull?indulto. Credeteci: l?incertezza uccide. Non è una metafora: uccide nel senso letterale del termine». No, non è affatto una metafora. Lo dicono i dati: in carcere ci si ammazza 19 volte più di quanto ci si ammazza fuori. E, attenzione, il trimestre ottobre-novembre-dicembre 2000 è quello che ha registrato il maggior numero di suicidi in carcere, sia in termini assoluti che in termini percentuali (nonostante l?ulteriore crescita nel corso dei 12 mesi successivi). Fatte salve l?unicità e l?indecifrabilità delle motivazioni che determinano la decisione di togliersi la vita, c?è una possibile interpretazione di quel particolare incremento, ed è questa: le speranze alimentate dalle parole del pontefice e delle gerarchie ecclesiastiche e il dibattito sviluppatosi in sede pubblico-politica crearono, due anni fa, un intenso clima d?attesa. La mancata approvazione di un ?segno di clemenza? ha mortificato quell?attesa e l?aspettativa delusa si è rivolta contro chi aveva investito in essa (i detenuti, appunto), traducendosi in un meccanismo autodistruttivo: atti di autolesionismo e suicidi. Non si parli, dunque, di indulto. Lo si approvi in tempi brevi, come vogliono ragione e umanità. Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto- Associazione per le libertà


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