Non profit

Il capitalismo indecente

Ci sono troppe scoorrettezze nel sistema capitalistico

di Francesco Maggio

Adesso basta. Ai primi di luglio, la Business Roundtable, la più potente associazione imprenditoriale statunitense, ha acquistato paginoni interi dei quotidiani americani a più alta tiratura per lanciare all?amministrazione Bush un messaggio inequivocabile, a caratteri cubitali: «Adesso basta». Basta con i conti truccati, basta con le scandalose stock options assegnate ai ceo (chief executive officers), basta con un capitalismo che, privo ormai di ogni ?mediazione? etica (espressione cara al governatore Fazio) distrugge ricchezza invece che crearla. Ci vogliono nuove e più severe regole. Dopo pochi giorni Bush varò il suo famoso piano di lotta contro gli abusi finanziari: raddoppio delle pene per i manager scoperti a truffare; creazione di una task force contro le frodi societarie; divieto della concessione di prestiti da parte dell?azienda ai propri dirigenti; aumento degli stanziamenti a favore della Sec (la Consob americana) per il rafforzamento dei quadri ispettivi; e altre misure ancora. Ma, come subito rilevarono autorevoli osservatori, per esempio l?ex commissario Consob, Marco Onado, «non bastano i gendarmi per aggredire l?emergenza». Anche perché, se di gendarmi si tratta, quelli previsti dal piano Bush hanno armi piuttosto spuntate: la questione stock option, ossia la loro contabilizzazione in bilancio come costi (3,3 miliardi di dollari solo per le prime 25 grandi imprese americane fallite dal 1999 a oggi, ha stimato il Financial Times), non è stata affatto affrontata (ed è significativo che, nonostante una simile lacuna, abbiano deciso di muoversi in questa direzione multinazionali come Coca Cola e Gillette). Strane deduzioni Si è scoperto che la legislazione fiscale americana permetterebbe alle società sorprese dalla Sec con le mani nel sacco di detrarre dal fisco le multe pagate: «Che senso ha far pagare un?azienda per una truffa finanziaria», si chiedeva nei giorni scorsi il fiscalista americano Lewis Steimberg, «se poi si permette alla stessa azienda di recuperare il denaro attraverso le deduzioni fiscali?». L?obbligo di separazione, all?interno della stessa società, dell?attività di revisione contabile da quella di consulenza è stato previsto solo per casi specifici e c?è voluto un intervento del Congresso con la legge Sarbanes-Oxley (si veda, in proposito, l?intervista al professor Francesco Galgano, a pag. 21), per porvi un qualche rimedio. L?elenco dei ?buchi? dei provvedimenti varati negli Usa potrebbe continuare. Ma, soprattutto, a fare acqua da tutte le parti è la convinzione che bastino norme di legge più severe (sic!) per arginare il malcostume nella finanza. Al punto che il presidente della Fed, Alan Greenspan, nel suo ultimo rapporto al Congresso ha ammesso che dall?ingordigia del capitalismo americano non si è rivelato immune praticamente nessuno: «Avvocati, sindaci, consigli di amministrazione, analisti di Wall Street, agenzie di rating, investitori istituzionali», ha detto Greenspan, «hanno tutti omesso di scoprire e denunciare chi aveva tradito la fiducia che è la linfa vitale dei mercati». Ma se la fiducia langue (da un?indagine della società di consulenza FD Morgan Walke su 217 gestori statunitensi, emerge che il 54% concorda che la crisi di fiducia ha radici profonde e il 40% non crede che le riforme proposte siano sufficienti); se le principali Borse continuano a perdere (da inizio anno: Milano, -24,9%; Parigi, -36,7%; Londra, -27,2%; Francoforte, -40,8%; Dow Jones, -20%; Nasdaq, -37,8%); se gli scandali dei mega benefits dei ceo continuano a spuntare a fiotti (da Jack Welch della General Electric a Dennis Koslowski della Tyco, per citare i più clamorosi) allora sembrerebbe non esservi alcuna terapia per guarire questo capitalismo così malato. Sembrerebbe. Perché in realtà qualcosa si sta muovendo. E segnali di rinnovamento vengono proprio dal Vecchio continente. Per esempio, la questione ambiente: è in Europa, come leggete in queste pagine, che l?interesse per queste tematiche è altissima. E ciò implica imprese più sostenibili e, quindi, più fondi disposti a investirvi. C?è poi la questione responsabilità sociale d?impresa: è appena partita dall?Italia, sotto l?impulso della Commissione Ue, una maratona che mira a promuovere il ?verbo? della sostenibilità. E ancora, la cultura. Ha scritto di recente Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa-Bci: «Vedo male un?università alla rincorsa di scenari economici che cambiano a velocità accelerata». Gli ha fatto indirettamente eco il rettore della Bocconi, Carlo Secchi: «Un?università di eccellenza deve saper ripensare i propri saperi accettando il cambiamento pur nella fedeltà ai propri valori». Cominciano, quindi, a esserci le premesse indispensabili affinché, per dirla con il titolo di un bel libro di Avishai Margalit, quella occidentale ritorni a essere Una società decente. Già, perché ciò che hanno prodotto questi ripetuti scandali finanziari è stata davvero una società indecente.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA