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Stadi, case, strade.il bello del calcio Quest’anno tocca al Ghana. Nel passato recente la competizione ha fatto decollare le economie diSenegal e Mali. Un esperto fa qualche conto di Mame Aly Kont

coppa d'africa Per chi la ospita è una grande chance

di Redazione

da Dakar (Senegal)
Organizzare una Coppa d’Africa di calcio è diventato oggi fenomeno di moda. L’occasione sognata per certi Paesi emergenti di un continente in preda a tante crisi, conflitti etnici e politici di mostrare un’altra faccia, quella di un’Africa che sta cambiando. Basta guardare ai casi dei paesi che hanno organizzato le due edizioni precedenti a questa che si sta svolgendo in Ghana: il Senegal nel 1992 e il Mali nel 2002.
In Senegal, allora Paese di 9 milioni di abitanti, il 1992 segna l’inizio di una nuova stagione della gestione dello sport. Scosso nel decennio precedente dalla crisi della sua agricoltura e delle risorse energetiche, il Senegal aveva rinunciato all’organizzazione del campionato nel 1980. Era stata allora la Nigeria a subentrare. Il 1992 quindi si presentava come l’occasione per una rivincita. Una stagione favorevole, con una squadra le cui stelle erano arrivate a maturità, come Omar Guéye Sène che all’epoca era capitano del Paris Saint-Germaine, o Jules Bocandé e Roger Mendy che avevano giocato in Italia. Il Paese si era mobilitato per costruire uno stadio tutto nuovo da 15mila spettatori in una città del Sud, Ziguinchor: pretesto per calmare la rivolta che aveva ostacolato tutti gli sforzi di sviluppo della regione, la Casamance.
Terminato già dal 1986, lo stadio dell’Amicizia di Dakar, con una capienza di 55mila spettatori, doveva invece accogliere le altre squadre. Due stadi per una coppa d’Africa erano decisamente poco secondo gli osservatori, soprattutto in rapporto al fatto che la competizione era passata da 8 a 12 squadre ammesse alla fase finale. I pochi ricavi erano derivati dalle sponsorizzazioni che avevano permesso un budget di circa 400 milioni di franchi (equivalenti più o meno a 600mila euro) per costruire qualche altro stadio nelle città di Tambacunda, di Kaffrine e Bambey. Un bilancio magro al quale va aggiunta la costruzione di uno svincolo sulla strada che portava allo stadio di Dakar. Poca cosa per una competizione continentale. Eliminato ai quarti di finale dal Cameroun, il pubblico aveva disertato la competizione ed era stato necessario aprire le porte dello stadio di Dakar dove si giocavano le semifinali, per non avere, oltre al danno economico, anche una ricaduta d’immagine.
Oltre al Senegal un altro Paese ha dimostrato quali sono i vantaggi che si possono ricavare dall’organizzazione di una competizione come questa: il Mali. Il progetto sottoposto al Comitato promotore prevedeva un investimento di 122 milardi di franchi (oltre 187 milioni di euro), con la costruzione di quattro stadi nuovi e di otto campi di allenamento nelle città che accoglievano la Coppa tra gennaio e febbraio 2002. Per il Paese fu l’occasione di un formidabile sviluppo urbano in alcune città come Mopti, Sikasso, Segou, Kayes e per la capitale Bamako. Il Mali riuscì anche a costruire un villaggio per gli atleti, con 42 edifici, costato nel suo complesso 1,5 miliardi di franchi, grazie a un finanziamento di banche e di operatori privati attivi nel Paese. A fianco delle infrastrutture va anche aggiunta la costruzione di due aeroporti a Sikasso, città di 1,7 milioni di abitanti, situata a circa 600 chilometri dalla capitale.
Sotto lo slogan della jatigiya (ospitalità in lingua bambara), la Coppa d’Africa ha permesso al Mali di rinnovare la sua rete stradale e di rilanciare il turismo d’avventura e dei safari. Questo a conferma che il calcio in Africa non è solo sport, è anche occasione di business. E di sviluppo.

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