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il giardino dei dialoghi

Film Il dolce rigore di Jean Becker, con anche un colpo di genio

di Redazione

Un film delicato e sorprendente. Benissimo recitato. Girato con senso della misura, con rigore e un gusto visivo a suo modo classico. La cui trama potremmo riassumere in una riga: l’incontro di due vecchi amici d’infanzia.
Certo, molte cose accadono dal momento in cui l’uno torna al paesello d’origine e si ritrova, come giardiniere, il compagno di tante bagatelle. Ma in fondo dicono poco. Il racconto punta invece sulle sfumature, gli impliciti, i luoghi anche comuni di un’amicizia sepolta negli anni e poi risorgente come per miracolo. Capace di riprendere quasi allo stesso punto in cui la vita l’aveva interrotta. In grado di ritrovare la benevolenza di un tempo, quegli accenti familiari, quegli sguardi affettuosi ma non ottusi, di conciliare le diversità e i differenti modi di intendere.
Giacché questi due non potrebbero essere più diversi. L’uno, dopo un’esistenza ville-lumière, è un affermato pittore in crisi anche coniugale. L’altro è un ex ferroviere dal pollice più che verde. Sono però simili in questo: appartengono fino in fondo a quel che fanno. Ovvero percepiscono l’esistenza come un luogo appassionato, nel quale le contraddizioni possono convivere e addirittura arricchirsi l’un l’altra. Anche in questo risiede la pacata solidità umana di questi due personaggi. Ed è per questo che i loro “dialoghi” (come meglio esprime il titolo originale: Dialogue avec mon jardinier) non contengono le parole avventate e perentorie dei nostri tempi.
Al di là delle scelte per certi aspetti poco mature (specialmente da parte del pittore, ma non solo), questi due hanno saputo accettare il loro destino. Ne hanno accolto la pienezza. Gli sono andati incontro e ne discutono, anche col silenzio, in questo parco a lungo trascurato. Che è (e ha la funzione) di una terra di nessuno: né natura né cultura, il giardino è il luogo di sintesi dei due uomini. Nel senso che ha un rapporto di omologia con entrambi.
E qui il regista Jean Becker ha, a mio parere, un tocco di genio: riesce a far coincidere alla perfezione la situazione dei suoi personaggi con una tradizione squisitamente francese di messa in scena e valorizzazione semantica del paesaggio. È la grande lezione di Jean Renoir, che ha avviato oltralpe la modernità del cinema (da La scampagnata a Picnic alla francese). Di Renoir, Becker riprende a modo suo lo sguardo e la pacatezza. Spingendosi anche far dire ai suoi protagonisti cose ovvie e banali. Ma alzi la mano chi dice solo cose molto intelligenti?

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