Non profit
toccarsi come le meduse
film Convince il debutto alla regia dell'israeliano Keret
di Redazione

L’equilibrio delle meduse è instabile, che non si possono toccare. Ma senza contatto, che vita è?
È un’esistenza assordante per le parole non dette, per i sentimenti non espressi, per la rabbia talvolta mal indirizzata. Ed è questa la condizione umana che Etgar Keret e Shira Geffen, al loro esordio dietro la macchina da presa, hanno voluto rappresentare mostrando tante vite che s’intrecciano, senza seguire un ordine narrativo né un climax emozionale. Preferendo star dietro ai molti personaggi, ascoltandone o facendone immaginare il disagio, l’ansia, la frustrazione. Sentimenti che possono appartenere a una bella sposina: durante il ricevimento di nozze si rompe una gamba e non può più partire per gli esotici Caraibi e si ritrova segregata in un albergo. Oppure a Batya, la silenziosa cameriera che ha servito a quel ricevimento e non sa più bene perché. O ancora alla badante filippina che parla solo inglese ma le toccano solo pazienti che non conoscono la lingua di Shakespeare. Meduse che non possono essere sfiorate. Vorrebbero essere coinvolte nella vita altrui, ma non ce la fanno. Perché i tempi di ciascuno vanno rispettati. Perché le ragioni dell’altro hanno un senso. Perché raggiungere la coscienza non è risultato semplice: per essere coinvolti occorre lasciarsi permeare. Ed è qui che il gioco si fa duro.
Il film, grazioso e ben fatto, è tutto qui. Nella ricerca di una cifra stilistica semplice e “verosimile”, contenuta e a suo modo delicata, in grado di raccontare una società attraverso i suoi membri. E i loro rapporti, per lo più “elettrici”: non appena le persone entrano in contatto, scintille di energia non sempre spiegabili o proporzionate, per lo più enfatiche, teatrali. Né mancano momenti in cui, attraverso l’ironia, questa dinamica viene smascherata: Batya ad esempio ha un padre e una madre che paiono usciti dal manuale dei genitori divorziati. Il primo con l’amante giovanissima (e bulimica). La seconda con la sua associazione raccoglie fondi per i bambini che non hanno una casa (ma poi trascura la figlia, da manuale).
Realismo malinconico, pensieroso ma non cupo. Nel mezzo del quale fa capolino un personaggio da fiaba contemporanea: una silenziosa, enigmatica bimbetta di pochi anni che si fa salvare da Batya salvo poi scomparire. È uno dei pochi contatti che a queste “meduse” è permesso. Ma è un bluff tenerissimo: la cameriera grazie alla bimba recupera quella parte di sé che aveva dimenticato. E il film termina con un sorriso.
Si può usare la Carta docente per abbonarsi a VITA?
Certo che sì! Basta emettere un buono sulla piattaforma del ministero del valore dell’abbonamento che si intende acquistare (1 anno carta + digital a 80€ o 1 anno digital a 60€) e inviarci il codice del buono a abbonamenti@vita.it