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Immigrati: Iref-Acli il 60% delle famiglie vuole restare in Italia

Le anticipazioni dal primo rapporto nazionale "Famiglie Migranti"

di Acli

Quasi il 60% delle famiglie di immigrati residenti nel nostro Paese sono intenzionate a rimanere in Italia in via definitiva. Soprattutto chi ha figli ha pensato per loro un futuro ?italiano? (65%). E? questo uno dei dati più significativi che emerge dalle anticipazioni della ricerca ?Famiglie migranti?, il primo rapporto nazionale sui processi d?integrazione sociale delle famiglie immigrate in Italia, realizzato dall?Iref, l?Istituto di ricerca delle Acli, per conto del Patronato Acli. Un?indagine compiuta su un campione rappresentativo di mille famiglie immigrate di oltre 31 nazionalità diverse, intervistate ?face to face? sulle origini, le condizioni e le prospettive della loro permanenza nel nostro Paese. «L?Italia scommetta su chi scommette sull?Italia» è il commento del presidente nazionale delle Acli Andrea Olivero. «Le famiglie immigrate ci aiuteranno a costruire il futuro del nostro Paese». Sono 216.824 i nuclei familiari formati da stranieri provenienti da ?paesi a forte pressione migratoria?. Lo ricava l?Iref dai dati del Censimento Istat del 2001 sulla popolazione italiana, pubblicati nel giugno del 2005. A questi numeri, che comprendono una quota significativa di famiglie uni-genitoriali (33.856), vanno aggiunti i circa 140mila visti per ricongiungimento familiare rilasciati tra il 2001 e il 2004, secondo l?ultimo Dossier statistico sull?immigrazione di Caritas-Migrantes. L?ingresso in Italia e la Bossi-Fini. Buona parte delle famiglie immigrate residenti (63%) vivono in Italia da meno di otto anni. Il loro arrivo è dunque avvenuto in un contesto legislativo caratterizzato dalle due ultime normative in materia di emigrazione: la Turco-Napolitano e la Bossi-Fini. In un caso su tre (32%), il membro della famiglia che ha rilasciato l?intervista è entrato in Italia senza alcun permesso di soggiorno. Ma il numero di ingressi irregolari pare in costante calo. Dal 38% di chi entrato in Italia più di 8 anni fa, al 32% di chi è giunto nel nostro Paese sotto la Turco-Napolitano (da 5 a 8 anni fa), al 24% di chi è arrivato da meno di 4 anni, cioè sotto la legge Bossi-Fini. In quest?ultimo periodo prevalgono i visti di soggiorno temporanei (per studio e per turismo) con il 51% (a fronte di un dato medio del 46%). Sembra cioè innalzata la quota dei cosiddetti over-stayers: coloro che sono entrati in Italia con un visto temporaneo ed hanno poi passato un periodo nell?illegalità, in attesa magari di trovare un lavoro ?legale?. Ma il dato più significativo riguarda gli ingressi per lavoro. Sebbene la Bossi-Fini fosse stata pensata proprio per favorire l?immigrazione a scopo lavorativo, questi visti sono aumentati solo del 2% rispetto al regime legislativo precedente. L?introduzione della Turco-Napolitano aveva segnato invece un incremento del 6%. Tipologia familiare. Le famiglie di immigrati che vivono in Italia sono costituite per lo più da coppie giovani (65% sotto i 40 anni), di media o alta istruzione (72%), con uno o più figli (56%). Il 35% sono coppie senza figli, mentre il 9% sono famiglie mono-genitoriali oppure co-abitazioni di persone legate da altri vincoli di parentela (zio/a e nipote, cugini). I nuclei familiari composti da tre persone sono più di un quarto (27%), mentre poco meno del 25% del campione è costituito da famiglie di quattro persone. Infine, le famiglie più numerose (5 persone e più) ammontano al 19% del totale, contro il 10% della popolazione generale (Censimento Istat). Una differenza legata anche al fatto che i nuclei familiari di immigrati si trovano spesso ad ospitare parenti nella propria abitazione. Il livello di istruzione dei coniugi immigrati (?capitale culturale?) appare medio per il 38% delle famiglie intervistate e alto ? dal diploma in su ? per il 34%. Dati che confermano, almeno in parte, la considerazione alquanto diffusa circa l?alta qualificazione delle migrazioni contemporanee. Le coppie di immigrati sono formate per lo più da coetanei. Il 65% degli intervistati ha meno di 40 anni, il 27% è al di sotto dei 50. La giovane età delle famiglie è confermata anche dal dato relativo all?età del primo figlio, che ha meno di 10 anni in più della metà dei casi. La religione.Il 40% delle famiglie intervistate si dichiara musulmana, il 24% cattolica, il 16% ortodossa, il 6% buddista. I non-credenti costituiscono il 9%. Particolarmente interessante il dato sulla partecipazione religiosa: i ?praticanti? assidui sono quasi il 40% del campione, il 27% partecipa solo sporadicamente, mentre il 23% afferma di non essere praticante. La frequenza assidua ai riti religiosi tende a caratterizzare soprattutto i nord-africani (58%), gli indiano-cingalesi (49%) e gli ispano-cattolici (45%). Tuttavia, non tutti gli immigrati di religione musulmana vivono in modo così intenso il proprio credo religioso come il senso comune tende invece a pensare: la più bassa percentuale di praticanti assidui si registra proprio all?interno del gruppo slavo-musulmano (22%). Le famiglie migranti sono dunque portatrici di un forte pluralismo religioso, che si esprime peraltro con un?intensità variabile a seconda della matrice culturale di provenienza. Da segnalare, una quota non trascurabile di intervistati (15%) che hanno dichiarato di esser stati costretti a modificare le proprie abitudini religiose, per l?assenza di luoghi di culto o, semplicemente, perché è difficile conciliare i tempi della religiosità con gli impegni di lavoro e la famiglia Il lavoro. A fronte di un 30% di famiglie nelle quali lavora solo una persona, la gran parte dei nuclei intervistati (56%) è caratterizzato da due persone occupate, mentre in circa il 14% dei casi a lavorare sono tre membri della famiglia o più. Quella delle ?coppie a doppia carriera? appare come una scelta obbligata per far fronte alle necessità economiche della famiglia, visto anche il posizionamento che le famiglie immigrate occupano generalmente nel mercato del lavoro. Ben il 43% degli intervistati lavora infatti come operaio e il 14% come collaboratore domestico. Lavori a bassa qualifica professionale e, molto spesso, a termine: il 61% dei rispondenti ha cambiando lavoro due o più volte da quando vive in Italia. Questo livellamento in basso della condizione occupazionale coinvolge anche il partner dell?intervistato: il 25% lavora come operaio, il 10% come collaboratore domestico, mentre un altro 10% svolge lavori occasionali. Utile qui un confronto con gli italiani, tra cui i lavori a bassa qualifica professionale (operai semplici, tecnici e specializzati, addetti ai servizi) sono molto meno diffusi, occupando solo il 36% della popolazione attiva (Censimento Istat 2001). Le risorse economiche. La distribuzione del reddito delle famiglie immigrate è schiacciata sulla fascia bassa, considerando che il 45% ha un reddito familiare compreso tra i 500 e i 1.200 euro e il 35% non supera i 2.000 euro. Le scarse risorse su cui possono far affidamento le famiglie sono ancor più evidenti se si prende in considerazione il reddito pro-capite mensile. Difatti, poco meno di un quarto dei membri delle famiglie immigrate (24%) ha un reddito pro-capite non superiore ai 300 euro; un altro quarto (26%) può contare su un massimo di 450 euro; il 27%, invece, ha un reddito pro-capite compreso fra i 450 e i 675 euro; infine, il 23% ha a disposizione ogni mese più di 675 euro. Va poi considerato il vincolo aggiuntivo di dover accumulare risparmi da inviare ai propri parenti rimasti nel paese d?origine: lo fa il 50% delle famiglie, mentre l?altra metà non riesce ad inviare nulla. Tra coloro che inviano denaro, il 14% riesce a mandare meno di 200 euro, il 20% tra 200 e 400 euro ed il 14% più di 400 euro. La situazione di vulnerabilità economica delle famiglie immigrate si mostra evidente per un altro dato: la metà degli intervistati (51%) ha dichiarato di aver avuto nell?ultimo anno delle difficoltà nel sostenere i consumi primari della propria famiglia (acquisto di generi alimentari, bollette, affitto, ecc.). Il 20% in più di quanto registrato dall?Iref per le famiglie italiane (Cfr. Il fisco degli italiani II, Roma, rapporto di ricerca, maggio 2005). Anche dopo molti anni di permanenza in Italia le condizioni economiche delle famiglie rimangono difficili. Difatti, nonostante il 75% delle famiglie immigrate viva nel nostro Paese da oramai più di cinque anni, molti sono i nuclei che versano in condizioni economiche piuttosto precarie. Difficoltà e bisogni.Gli ostacoli più grandi che le famiglie migranti incontrano vivendo nel nostro paese sono la difficoltà di trovare una casa (22%) e un lavoro (18%). La condizione abitativa è, d?altronde, strettamente correlata al tempo di permanenza in Italia: nonostante la quasi totalità dei nuclei viva in affitto (88%), quanto più è lunga l?esperienza migratoria, tanto più è rilevante la quota di famiglie che sono riuscite ad acquistare un?abitazione (il 18% tra chi è in Italia da più di 9 anni). Ai problemi concreti si aggiunge il peso della lontananza delle amicizie e degli affetti (13%), l?atteggiamento di diffidenza proprio di molti italiani (9%), gli scogli di carattere linguistico (9%); le complicazioni e le lungaggini caratteristiche della burocrazia (9%); il diverso trattamento incontrato in banca al momento di aprire un conto corrente o di accedere a un prestito (9%). Le famiglie immigrate vorrebbero, dunque, soprattutto assistenza per la ricerca della casa (16%) e adeguati sportelli per il lavoro (15%). Ma chiedono anche maggiore tutela legale (11%) e assistenza sanitaria (10%), corsi di formazione professionale (9%) o di lingua italiana (7%); il sostegno, infine, di mediatori culturali (6%). Reti di sostegno. In caso di necessità, quasi una famiglia su quattro (24%) chiede aiuto all?interno della propria cerchia di conoscenze immigrate (connazionali e non). La rete migratoria è, dunque, un punto di riferimento fondamentale in caso di necessità. Quantomeno per le famiglie con meno anni di permanenza in Italia. Infatti, i legami d?aiuto con gli altri immigrati tendono ad allentarsi con il trascorrere degli anni: tra le famiglie che vivono in Italia da meno di cinque anni il 28% fa affidamento sulla propria rete migratoria; tale percentuale scende dell?8% tra i nuclei familiari nel nostro Paese da più di otto anni. Non che venga meno la coesione all?interno delle comunità. Diminuiscono semplicemente le famiglie che chiedono aiuto al proprio ?gruppo etnico? e crescono quelle che offrono aiuto (dal 21% dei primi 4 anni di permanenza, al 37% di chi sta in Italia da più di nove anni). Oltre alla rete migratoria, appare rilevante anche il sostegno fornito dalla rete parentale (18%). Quasi il 20% delle famiglie afferma invece di ricorrere all?aiuto di amici e conoscenti italiani, mentre il 16% preferisce rivolgersi a soggetti pubblici (sindacati, partiti, patronati, parrocchie). In linea di tendenza, più passano gli anni e più le famiglie immigrate si emancipano dalla rete migratoria e aumentano la frequentazione con le famiglie italiane. Il bilancio dell?esperienza migratoria. Malgrado le difficoltà economiche e l?endemica carenza di servizi di sostegno, gran parte delle famiglie migranti sostiene di aver migliorato (molto o abbastanza) le proprie condizioni da quando vive in Italia (50%), a fronte di una minoranza che non ha registrato alcun miglioramento (13%) e di una quota residuale per cui sono addirittura peggiorate (2%). Esistono però delle differenze significative a seconda delle diverse aree in cui i nuclei risiedono. I miglioramenti più significativi si registrano soprattutto nelle regioni del Nord-Est (hanno risposto di aver migliorato molto le proprie condizioni economiche il 42% dei nuclei, rispetto ad un totale campionario del 35%), seguite da quelle del Nord-Ovest (39%); meno evidenti, ma comunque presenti, i progressi economici percepiti dalle famiglie residenti nel Centro (il 58% dichiara di stare ?abbastanza? meglio). Al contrario, le famiglie che da quando si sono trasferite in Italia non hanno riscontrato alcun miglioramento vivono perlopiù nel Sud e nelle Isole (22%, a fronte di un valore medio del 13%); così come quei nuclei che hanno addirittura rilevato un peggioramento (9%, contro il 2% del totale del campione). I progetti migratori. La ?percezione? del miglioramento della propria condizione, sebbene contraddetta in parte dalla permanenza delle situazioni di disagio, aiuta a comprendere il dato che vede il 59% delle famiglie immigrate decise a rimanere stabilmente in Italia. Tra queste, ci sono quelle famiglie che sin dalla partenza dalla nazione di origine intendevano stabilirsi in Italia (il 33% del totale) e hanno quindi confermato il proprio progetto migratorio. C?è poi chi non pensava di trattenersi in Italia ma ha poi modificato in senso positivo il suo progetto decidendo di restare (il 26%). Un quarto delle famiglie migranti residenti in Italia, invece, non immaginava né immagina ora un futuro stabile nel nostro Paese. Sono famiglie ?in movimento? verso Paesi diversi o verso il Paese d?origine. Infine, significativa (15%) la quota dei delusi: le famiglie che erano giunte in Italia nutrendo notevoli aspettative rispetto alla loro permanenza ma che si sono viste costrette a rivedere i loro piani, mettendo in conto di ?ripartire? per altra destinazione. Il rapporto completo è sul sito www.acli.it

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