Volontariato

Varanasi (non chiamatela Benares)

E' la mitica citta' del Gange.Noi la conosciamo con il nome che le diedero gli inglesi.Ma se la chiami con il suo vero nome,appare diversa di Simona Quaglia

di Redazione

Un immenso affascinante enigma. Gli inglesi l?hanno chiamata Benares. Oggi la ?città santa? dell?India ha ripreso il suo antico nome di Varanasi, che richiama la sua collocazione di ?città tra due fiumi?, il Varauana e l?Asi. Nell?immaginario del turista la città delle abluzioni nel Gange è il simbolo dell?India, mistica e spirituale. Ma si tratta di Varanasi? O ancora di Benares, la città che gli occidentali vogliono trovare? Simona Quaglia, 25 anni, a Varanasi è rimasta due mesi, per la sua tesi in lingue orientali. La vita quotidiana sui ghat (i gradoni di pietra sul Gange) le ha fatto scoprire una città che non corrisponde all?immagine patinata dei cataloghi di viaggio. Conoscerne i diversi nomi è il primo passo per accostarne i volti.

La mia conoscenza dell?India, fino all?età di 21 anni, è derivata da libri, oggetti d?importazione, racconti d?amici e documentari televisivi. I miei due anni di studi alla facoltà di Lingue e letterature orientali mi avevano aiutato a formare un?idea dell?India fatta di testi sacri, sanscrito, arte finissima e suadenti notti orientali.
Poi, il mio primo viaggio: quell?immagine dell?India che mi ero pazientemente costruita si è sgretolata in cinque giorni di caldo afoso e odore d?urina misto a spezie e smog.
Per tutto il resto del viaggio ho dovuto imparare a guardare un?India diversa dalla ?mia? e infine mi sono resa conto che quest?India contemporanea mi affascinava di più di quella dei sistemi filosofici del sesto secolo e anche di quella dei guru dei Beatles e discepoli.
Due anni più tardi sono partita di nuovo per l?India con un obiettivo preciso: fare le ricerche per la mia tesi. L?argomento, concordato con il mio professore, era la creazione dell?immagine, nel sistema di rappresentazione occidentale, della città e la relazione con lo sviluppo turistico nella città.
Il mio soggiorno, durato due mesi, mi ha permesso di capire un po? lo strano fenomeno dello sguardo turistico e del gioco di specchi che si instaura tra la popolazione ospitante, conscia di essere un?attrazione, e quella ospitata, alla ricerca di quelle immagini che ha già visto sul catalogo di viaggi. Ma soprattutto di vivere in una città complessa e sfuggente.
Per me Varanasi è un immenso e affascinante enigma: mi stupisce per la capacità di accogliere indifferentemente a sé vita e morte, devozione religiosa e marcata materialità, moksha (liberazione dal ciclo della rinascite) e internet cafè.

Misticismo e Coca cola
Per gli induisti, questa città sulla riva del Gange è la più antica del mondo, la dimora del dio Shiva, il luogo in cui morire porta alla diretta liberazione dal ciclo delle rinascite. Qui, ogni anno, migliaia di pellegrini vengono a visitare templi e luoghi sacri per acquisire meriti religiosi, anziani e ?rinuncianti? decidono di trasferirsi per aspettare il sopraggiungere della morte e 40mila corpi vengono portati ai ghat per essere cremati.
I ghat di Varanasi sono dei gradoni di pietra, edificati in diversi periodi, che portano dalla riva del Gange alla città; si susseguono per quasi 6 chilometri da nord a sud e ognuno è legato a un mito, un tempio, una attività lavorativa o a un accadimento. Molti sono i libri che raccontano i ghat dal punto di vista religioso, paesaggistico e mistico; con il tempo questo luogo è stato individuato come il cuore pulsante della città.
I ghat sono il naturale palcoscenico dove ogni giorno si celebrano, per gli dei e per gli uomini, i riti della religione indu. Qui si svolgono i mattutini bagni sacri: una moltitudine di donne e uomini, dalle 6 di mattina fino a mezzogiorno, si reca al fiume per bagnarsi e lavarsi nelle acque del Gange; nel frattempo i dhobi (lavandai) lavano i vestiti su commissione, i bufali si rinfrescano dal sole cocente, i barcaioli attraggono l?attenzione dei turisti e le ceneri dei morti vengono sparse nelle acque.

Seta e verdure
Il backstage di questo imponente palcoscenico è formato da vie strette e sinuose, da piccoli negozi e mercati della verdura all?aperto, di empori per la vendita della seta (il più famoso dei manufatti di Varanasi), di scuole di musica e guest house per turisti; ma anche dal traffico pre marmitta catalitica, da ristoranti con cucina multietnica a basso budget, da negozi con vestiti indiani per stranieri e vestiti occidentali per indiani.
Più lontano, a sud, si trova la zona dell?università, una delle più grandi di tutta l?Asia; a ovest, iniziano quei quartieri di case basse di latta e di terra di nessuno (ovviamente non citati dai cataloghi turistici).

L?Oriente inesistente
A un primo sguardo, Varanasi incarna perfettamente quell?indianità ricostruita nell?immaginario turistico: il misticismo, le sete, le spezie e gli antichi monumenti mollemente adagiati sul Gange richiamano quell?India da racconti sull?Oriente.
Ma quell?Oriente puro, privo di cambiamenti nel tempo, ci si accorge, man mano, che non esiste: su Assi ghat c?è una pizzeria gestita da una famiglia di brahmani, il famoso riso profumato basmati non è più alla portata economica delle famiglie indiane da quando è venduto in pacchetti per l?esportazione sulle tavole etno chic, e il simbolo della Coca Cola è dipinto sui muri dei ghat, vicino ai consigli per non inquinare il Gange. Non c?è da stupirsi: le contaminazioni culturali non sono una novità dell?era moderna. Varanasi era già nel 1000 a.C. il punto d?incontro tra i commerci dell?Est e dell?Ovest. Induismo, buddhismo e jainismo sono cresciuti per alcuni secoli fianco a fianco indisturbati. La città è stata dominata da regnanti Moghul, di religione islamica, e dagli inglesi, e ogni passaggio ha lasciato i suoi segni sul territorio.

Un altro sguardo
Così, anche adesso i segni delle ondate turistiche modificano luoghi e persone: i palazzi dei Maharaja diventano guest house, i ragazzini si trasformano in guide turistiche.
La spiritualità indiana si adegua ai tempi nella forma. Su Harishchandra ghat (uno dei due ghat adibiti alle cremazioni) è sorto da più di un decennio un inceneritore elettrico, più igienico e meno costoso delle tradizionali cremazioni.
Uno dei templi più famosi di Varanasi contiene la rappresentazione della storia di Ram (eroe dell?epopea indiana Ramayana) animata con statue meccaniche. E negli internet cafè, dopo aver fatto l?offerta all?immagine della divinità protettrice, il proprietario passa il bastoncino d?incenso sulle tastiere e gli schermi di ciascun computer.
Sapere tutto questo deromanticizza lo sguardo turistico alla ricerca di un luogo ?altro? dove la modernità non abbia fatto incursione e la popolazione sia ancora ?primitiva? e legata alle antiche tradizioni; ma è proprio questa capacità di accogliere e combinare caratteristiche diverse che rende la città, secondo me, affascinante ed immortale.

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