Welfare

L’ultimo show del signore delle armi

traffici. Cosa cambia l’arresto di Viktor Bout

di Benedetta Verrini

Lo hanno arrestato gli americani, che si erano avvalsi dei
suoi servizi per la guerra in Iraq. Ma è un arresto che
cambia poco. Perché il sistema resta in piedi

N on poteva che essere da film l?arresto del più famoso trafficante d?armi al mondo, Viktor Bout, l?uomo che ha alimentato le guerre d?Africa e del Medio Oriente dagli anni 90 ad oggi. ?Lord of war? è stato beccato in Thailandia, mentre contrattava una partita d?armi con finti guerriglieri delle Farc colombiane, in realtà agenti della Dea americana.

E come nella trama del miglior film, non è detto che sia finita. E non è detto che i buoni, in questo caso gli Stati Uniti, siano davvero buoni.«Forse dovrei fondare un?università per il traffico d?armi e tenere un corso su come aggirare le sanzioni Onu», aveva dichiarato Bout, garrulo, a un giornalista del NY Times Magazine che lo aveva intervistato a Mosca nel 2003. In effetti, la sua storia è l?emblema dell?ipocrisia delle grandi potenze, che per anni hanno tollerato il suo ?lavoro sporco?, pur considerandolo impresentabile.

Grazie alla Air Cess, una delle sue fiorenti società di trasporto aereo con sede negli Emirati, in questi ultimi anni il mercante tagiko ha rifornito d?armi tutti i principali conflitti: Afghanistan, Iraq, Repubblica democratica del Congo, Sierra Leone, la Liberia di Charles Taylor, suo amico e socio.

La moneta di scambio sono diamanti e legnami preziosi, gli spazi di manovra sono quelli politicamente desolati dell?ex impero sovietico: il porto di Odessa, in Ucraina, i ?porti franchi? della Transnistria, a nord della Moldova.

«La sua storia è fondamentale per capire come funziona il traffico d?armi», commenta Tonio Dell?Olio, responsabile Area internazionale di Libera. «Per esempio, mostra chiaro come la logistica sia uno dei pilastri fondamentali del sistema. E che se in tutti i Paesi di transito passa inosservato un Antonov parcheggiato su una pista o una nave cargo in un porto, significa che tutto è coperto da una fitta, capillare rete di collusioni: dalle autorità aeroportuali alle forze dell?ordine, salendo fino alla politica e ai servizi segreti».

È ciò che hanno fatto gli Stati Uniti, che soltanto poco tempo fa si servivano dei buoni uffici di Bout in Iraq. Cedendo alle pressioni di Washington, solo nel 2004 il governo britannico ha cancellato il nome di Viktor Bout da una lista di ricercati i cui beni dovevano essere congelati per ordine delle Nazioni Unite. «Siamo disgustati da questa vicenda, se vogliamo pace in Africa Occidentale il suo nome dovrebbe esserci», aveva dichiarato al Financial Times un autorevole diplomatico occidentale che partecipava alla commissione per le sanzioni Onu.

Oggi il vento deve essere cambiato, anche se la prossima estradizione di Bout a New York imbarazza alcune figure anche all?interno del governo americano. «Mentre Bout era perseguito da una parte del governo, un?altra dialogava con lui concedendo forniture di benzina e subcontratti. Ciò dimostra l?incompetenza con cui è stata condotta la guerra in Iraq», ha dichiarato a Newsweek Lee Wolosky, ex responsabile della sicurezza alla Casa Bianca durante l?amministrazione Clinton.

Dice Dell?Olio: «Non illudiamoci: il suo arresto significa soltanto che non serviva più, non che si è spezzato un canale di traffico d?armi. La guerra continua, e continua perché purtroppo ci sono le armi. Questo mercato è floridissimo e non subisce un contrasto efficace. Pensiamo al nostro Paese: mi domando per quale motivo non esista oggi nessuna struttura, nessun dipartimento che persegua direttamente il traffico d?armi. Mi chiedo come sia possibile che, ad oggi, non ci sia nessun processo in corso che riguardi questo sistema».

A qualcuno per fortuna i dubbi restano, anche con Bout dietro alle sbarre.

Per saperne di più:
«Merchant of death», Douglas Farah-Stephen Braun – www.merchantofdeathbook.com

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