Politica

Benedetto XVI, per sé e per tutti

Il silenzio del papa. Le buone ragioni della strategia vaticana

di Redazione

I soloni del pensiero identitario ?cristianista? si sono irritati. Il pressing mediatico ha lanciato lo ?scandalo?. In realtà l?esperienza storica dà ragione al Papa

All?Angelus di domenica 16 marzo, il Papa non ha fatto cenno alla crisi tibetana, esplosa poche ore prima. Un ritardo di reazione (quasi che il Vaticano fosse un?agenzia stampa, ha fatto notare Andrea Riccardi) subito trasformatosi in campagna cultural-mediatica sui presunti ?silenzi? di Benedetto XVI. Anche molti soloni del pensiero identitario ?cristianista?, solitamente impegnati a esaltare Joseph Ratzinger nella sua veste di grande ispiratore del piano di Rinascita occidentale, hanno ruminato malcelato imbarazzo per la mancata performance papale. Tanto che il direttore dell?Osservatore Romano, Gian Maria Vian, ha cercato di placare i mal di pancia, assicurando in un?intervista a Liberal che si correrà ai ripari con una qualche forma di pronunciamento vaticano a breve. Il pressing mediatico ha trasmesso senza troppi pudori una stizza trattenuta a stento, pronta a tracimare in ricatto morale. Il Papa che si vorrebbe rinchiuso nel cliché di ?grande intellettuale d?Occidente?, invece di aderire al copione scritto in suo onore, si lascia sfuggire mosse e parole fuori registro: apre un dialogo senza precedenti storici coi saggi musulmani; fa risalire il disastro dell?Iraq alla «guerra che ha provocato lo scompaginamento della sua vita civile e sociale» (parole dette all?Angelus ?omertoso? di domenica, che non hanno trovato spazio sul Corriere della Sera); va a braccetto con la Russia ortodossa e putiniana; la sua diplomazia si guarda bene dal riconoscere il Kosovo indipendente. Proprio nel caso dei presunti silenzi papali sul Tibet, la Chiesa torna a fare i conti con la natura sui generis del suo rapporto coi poteri del mondo, dentro le convulse vicende della storia. Il vescovo di Roma non fa per mestiere il depositario della coscienza morale del mondo, tanto meno il leader di una presunta ?superpotenza? spirituale in grado di gareggiare con le mosse e le strategie delle superpotenze geopolitiche. Oltre a questo, c?è il fatto che anche il Papa tiene famiglia. Quando osserva e registra le vicende complicate e drammatiche che coinvolgono le diverse aree del pianeta, il suo sguardo è condizionato dalle vicende di quelli – pochi o tanti, malmessi o di buona tempra – che da quelle parti portano il nome di Cristo. Un condizionamento che tocca livelli di ipersensibilità nel caso cinese. Troppe volte nella storia – anche prima di Mao – i cristiani di Cina e i missionari che operavano di là dalla Grande Muraglia hanno pagato in persecuzioni la manipolazione che riduceva la Chiesa ad ?agenzia religiosa? degli interessi e delle manovre politiche occidentali. Negli ultimi tempi, tra la Città Eterna e l?ex Celeste Impero sembrano essersi aperti canali seri di dialogo. Per la prima volta, dai tempi di Mao, anche a Pechino è insediato un vescovo in piena ed esplicita comunione con il Papa. Questo lasciarsi condizionare dai rischi delle comunità locali manda fuori dai gangheri i duri e puri che – magari a corrente alternata – rimproverano al Vaticano incoerenze e compromessi.L?esperienza storica dimostra che spesso accade il contrario. Talvolta proprio quel ?filtro? di umanità reale rende lo sguardo dei Papi e dei loro collaboratori saggio, lucido e realista anche sulle vicende del mondo. L?avere a cuore le storie concrete del ?piccolo gregge? cristiano aiuta a cercare soluzioni buone per tutti.


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