Famiglia

La famiglia vedova è una famiglia povera

Ricerche.Il Cisf presenta la prima indagine sociologica sul tema

di Sara De Carli

Sono 3,7 milioni in Italia le famiglie mononogenitoriali a causa della vedovanza. In quasi 200mila ci sono figli, e in 95mila almeno un minorenne. Una realtà poco studiata, sola e pochissimo aiutata. Una genitorialità che spesso deve fare i conti con un ingresso difficile nel mondo del lavoro. E con un sistema di welfare che la protegge solo a metà.

Il welfare italiano è come i medici: ognuno guarda solo il suo pezzetto. Eppure anche in questa iperspecializzazione del sistema c?è una condizione assolutamente ignorata: quella delle famiglie vedove. Lo rileva una ricerca del Centro internazionale studi sulla famiglia intitolata La vita, ancora (Paoline), la prima ad affrontare il tema in termini sociologici. E a mettere a fuoco non la condizione di ?persona vedova?, ma quella di ?famiglia Sono 3,7 milioni in Italia le famiglie mononogenitoriali a causa della vedovanza. In quasi 200mila ci sono figli, e in 95mila almeno un minorenne. Una realtà poco studiata, sola e pochissimo aiutata. Una genitorialità che spesso deve fare i conti con un ingresso difficile nel mondo del lavoro. E con un sistema di welfare che la protegge solo a metà.vedova?. In Italia ci sono 4,5 milioni di persone vedove e ben 3,7 milioni di famiglie con capofamiglia vedovo: circa 200mila hanno figli conviventi e 95mila figli minorenni. Famiglie con problemi che vanno dalla monogenitorialità e il conciliare vita e lavoro fino a un ingresso complicato nel mondo lavorativo. Una traiettoria che non funziona e che fa fare a Francesco Belletti, direttore del Cisf, una durissima equazione: «La famiglia vedova è una famiglia povera». «È particolarmente vero per le donne», spiega, «che si ritrovano a dover entrare nel mondo del lavoro a 40/45 anni e spesso trovano posti in nero o con una bassa qualifica. La pensione maturata dal coniuge che muore così giovane infatti è bassissima».

Ma al di là delle questioni economiche, dalle 42 storie di vita raccolte emerge soprattutto la solitudine delle famiglie. Ognuno ha la sua storia, ma benché si tratti di persone rimaste vedove tra i 35 e i 50 anni, quasi nessuno ha un nuovo compagno. Per tutte è fondamentale coltivare presso i figli la memoria del genitore scomparso, a volte col rischio di congelare la vita nel passato. La molla per andare avanti è diversa per uomini e donne: per gli uni il lavoro, i figli per le altre. Ma per tutti il percorso è in solitaria. «Ci ha colpito la fragilità delle reti amicali: gli amici ci sono nell?emergenza, ma presto scompaiono perché la persona vedova è percepita come troppo diversa. Tutti hanno detto di sentire di mettere in imbarazzo la gente, della ?colpa? del portare nella quotidianità il segno concreto di una possibilità rimossa, qual è la morte di persone giovani». Persino la famiglia a volte cede: spesso infatti, spiega Belletti, i genitori del coniuge defunto reagiscono accusando il superstite di mancata cura, reputando la perdita di un figlio ancora più inaccettabile della perdita del coniuge. In più, c?è la burocrazia: «La società ha una impersonale crudeltà e una grossolanità imbarazzanti, dai conti correnti fino alla pensione e la protezione sociale», dice Belletti.

Soluzioni? Al di là delle battaglie promosse dal Melograno, l?associazione che ha commissionato la ricerca, poche: «È difficile dire cosa serve. Più sportelli? Più gruppi per elaborare il lutto? Forse. Certo è un po? poco che l?unico soggetto sociale che prova a parlare a queste famiglie sia la Chiesa. Gli altri dove sono?».

Info:
www.sanpaolo.org/cisf
www.il-melograno.org


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