Non profit

Cesvi in Afghanistan per ricostruire il Paese

Intervista ad Andrea Grancini, di ritorno dopo sette mesi dal Nord dell’Afghanistan

di CESVI

Mentre sono ancora vive nei nostri occhi di telespettatori le immagini dei profughi iracheni che si incamminano verso un confine e una nuova vita avvolti dalla sabbia del deserto, un altro esodo umanitario, quello della popolazione afghana, sembra finalmente giungere al termine. Costretti ad abbandonare il loro Paese per l?inasprirsi del regime talebano prima e per la rappresaglia americana dopo l?11 settembre, centinaia di migliaia di profughi afghani si sono diretti verso il Pakistan a sud ma anche l?Uzbekistan e il Tagikistan a nord. Dopo anni di esilio in altri Paesi ora che il governo Karzai e la presenza militare internazionale sembrano garantire un po? di stabilità interna anche i profughi stanno lentamente rientrando. Ecco perché il Cesvi, con l?Unhcr, l?agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, insieme ad altre ong presenti sul territorio, hanno avviato nel 2002 una serie di progetti di cooperazione e sviluppo per favorire il rientro dei profughi. «Il progetto è ormai terminato ? spiega Andrea Grancini, 28 anni, di Bergamo, amministratore e logista, da poco rientrato in città dopo sette mesi trascorsi nel nord del Paese -: era stato avviato nel maggio 2002 sulla scorta di altre attività del Cesvi come la ricostruzione del grande Liceo di Taloqan, la cosiddetta “Università del Takhar”, inaugurato il 23 marzo dello scorso anno. Abbiamo operato in tre province del nord dell?Afghanistan: Balkh, Faryab, Sar e Pol. Il coordinamento dell?operazione era a Mazar e Sharif. Abbiamo costruito 1.500 case, ripartite equamente tra le province, per accogliere altrettante famiglie di profughi. Contando che mediamente ogni nucleo familiare era composto da sei o sette elementi, abbiamo aiutato una decina di migliaia di afghani». Ogni famiglia, assistita da ingegneri locali, aveva a disposizione 50 dollari per il materiale, oltre a porte, finestre e travi per il tetto. Ognuno ha potuto ricostruire il proprio shelter, rifugio a un piano dotato di due stanze, dove riniziare a vivere. «Abbiamo poi contribuito a realizzare alcuni progetti di riabilitazione ? continua Andrea Grancini, che tornerà in Afghanistan a metà maggio per chiudere e verificare la riuscita del progetto Cesvi ?: sei scuole, due per provincia, frequentate in media da 600 o 700 ragazzi, maschi e femmine, delle classi primarie e secondarie, suddivisi in turni orari, per coprire il fabbisogno scolastico di una decina di villaggi ciascuna. Abbiamo avviato tre cliniche ancora suddivise equamente tra le province e abbiamo avviato tre workshop di falegnameria per dotare le strutture delle attrezzature di base. Ogni laboratorio formava alla professione sei o sette giovani seguiti da artigiani locali». «Il progetto infine ? continua Andrea Grancini, che potrebbe tornare ad occuparsi dei nuovi progetti Cesvi nell?area asiatica ? comprendeva il risanamento di alcuni canali per l?acqua da irrigazione». Insieme ad Andrea Grancini hanno seguito il progetto Cesvi in Afghanistan altri cinque operatori. «Con loro abbiamo anche concluso una collaborazione con la Cooperazione italiana per la distribuzione di giacche a vento, coperte calze e carbone per 1606 famiglie della provincia di Sar e Pol e cibo per circa 5mila famiglie con il World food program nella provincia di Faryab». Intervista di Elena Catalfamo


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