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Davanti ai miei occhi l’India allo stremo
Luca Aiolfi, operatore del CESVI ha raggiunto il Gujarat devastato dal terremoto. Un milione i senzatetto. Testimonianza raccolta da A. Valesini, giornalista dell'Eco di Bergamo
di CESVI
Una tragedia immane. Non ci sono né servono altri termini per dire delle conseguenze del terremoto che ha devastato il Gujarat. Luca Aiolfi, 44 anni, bergamasco, responsabile relazioni internazionali del Cesvi, chiude con queste tre parole il racconto dei suoi primi giorni nello stato dell’India occidentale. Al telefono da un albergo di Ahmedabad, quinta città del paese, nel cuore del Gujarat, parla a ruota libera di villaggi devastati, bambini orfani, un milione di senzatetto, migliaia di pazienti in attesa di un’operazione chirurgica, fame, sete e freddo. «Ahmedabad è lontana dall’epicentro del terremoto – attacca Aiolfi, e sono morte 800 persone, che abitavano edifici nuovi ma realizzati senza rispettare le norme antisismiche (per questo la polizia ha arrestato nove costruttori, ndr). L’area più colpita è il Kutchh, regione al confine con il Pakistan, sede dell’epicentro, che è stato individuato a Bhuj, città di 140mila abitanti e che ha il 95 per cento delle abitazioni distrutte. Si è chiusa la prima fase, quella del recupero dei sopravvissuti, al quale hanno partecipato anche squadre specializzate arrivate dalla Germania e da Israele. Ora si inizia a lavorare per l’eliminazione delle macerie. I senzatetto vivono in tende, ma moltissimi non hanno ancora un riparo dove trascorrere la notte e quando va via il sole la temperatura si avvicina allo zero». Il Kutchh è infatti a ridosso di un’enorme palude che in questa stagione è secca e sabbiosa, battuta da un forte vento. La Croce rossa indiana ha segnalato che solo nella zona di Bhuj servono almeno 65 mila tende, oltre a cucine da campo, coperte e vestiti soprattutto per i bambini. L’azione del Cesvi si concentrerà in uno o due distretti, tra cui Mundra, sul golfo del Kutchh. Aiolfi in queste ore ha raggiunto villaggi lontani dalle vie principali: è qui che ci sono le situazioni più disperate perché i soccorsi non sono ancora arrivati o solo parzialmente. «Nelle zone terremotate – dice ancora l’operatore dell’organizzazione non governativa bergamasca – ci sono tra i 7 e i 10 mila pazienti che devono essere operati, ma manca il personale sanitario, perché molti medici e infermieri sono morti. Sono in crescita le infezioni respiratore acute e le infezioni secondarie successive perché si opera in condizioni precarie, tra polvere e sabbia. Tra chi si è salvato è alto il numero di chi ha subito l’amputazione di una arto. Inoltre nascono bambini ma non ci sono le culle. Molti piccoli sono rimasti orfani. C’è gente che non mangia da giorni. Molti poi sono colpiti da traumi psicologici. In più c’è il problema dell’acqua che scarseggia: il terremoto ha deviato corsi sotterranei e dove c’erano fonti di acqua dolce ora esce liquido salato. Un’emergenza di questo tipo in queste aree è difficile da gestire. Si viaggia con le jeep e gli spostamenti da una zona all’altra richiedono almeno cinque o sei ore. Una tragedia immane». La scarsità e la cattiva qualità dell’acqua preoccupano molto la Croce rossa internazionale, in particolare per le possibili conseguenze sanitarie. Il Cesvi – che con Movimondo è una delle due ong italiane presenti nel Gujarat – ha stanziato 50 milioni per i primi interventi di emergenza: distribuzione di medicine, vitamine e integratori alimentari, creazione di ricoveri temporanei, distribuzione di cibo e acqua potabile in taniche, tende e coperte. In cantiere anche la creazione di cliniche mobili, sulla scorta dell’esperienza che l’organizzazione ha avuto ancora in India, nella regione di Odissa, devastata più di un anno fa dal «Superciclone». Poi ci sarà la fase della ricostruzione. Per questo elenco di interventi il Cesvi ha chiesto un finanziamento all’Unione europea mentre cerca anche donazioni di privati. Prima di chiudere il suo racconto, Luca Aiolfi ricorda un particolare: «Tra le vittime del terremoto c’erano intere famiglie in viaggio per raggiungere la zona costiera occidentale del paese, dove trascorrere le vacanze. Erano nel Gujarat quasi per caso». In questi giorni sui quotidiani locali dello stato indiano una parte considerevole delle notizie del dopo terremoto è dedicata alla vicenda dei palazzinari: ad Ahmedabad settanta edifici di oltre dieci piani si sono ripiegati su se stessi senza lasciare scampo a chi vi risiedeva: sono 800 i morti finora recuperati. Altri cento palazzi sono in condizioni così precarie da essere considerati un pericolo pubblico per la cittadinanza.
Anil Bakeri, ingegnere civile, uno dei più importanti costruttori del Gujarat, non ha dubbi: «Molte morti si potevano evitare. Non sapremo mai quante persone si sarebbero salvate se non ci fossero stati speculazione edilizia, abusivismo, corruzione». Uno scandalo che aggiunge rabbia al dolore di chi è sopravvissuto e sotto le macerie ha perso parenti e speranze.
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