Famiglia

Asili aziendali, a che punto siamo. La culla in fabbrica piace a tutti. Investiamoci di pi

Lanciati dalla Finanziaria del 2002, si sono moltiplicati soprattutto nelle grandi imprese. Spesso aprendosi anche al territorio.

di Redazione

Cromoterapia, mensa biologica, orari flessibili, un progetto pedagogico da far invidia alla Montessori e rette calmierate: se sognate un nido così per i vostri bambini, forse dovete mandare il curriculum a una delle imprese private e pubbliche (da Fiat Mirafiori a Vodafone, dal Cnr a Trenitalia), che per i figli dei dipendenti aprono un nido aziendale. Rispondendo così a molteplici esigenze: «Rendere i dipendenti più sereni, fidelizzarli, offrire una conciliazione più adeguata tra tempi di lavoro e di vita», sintetizza Susanna Mantovani, prorettore dell?università Bicocca a Milano, responsabile scientifico di uno dei nidi aziendali più all?avanguardia in Italia.

Un patto col privato sociale
Ma cos?hanno di speciale questi asili? «Per cominciare, non si tratta più di nidi di fabbrica. Oggi in prima linea sono le esigenze del dipendente-genitore e del bambino. E i nidi aziendali sono per lo più aperti anche all?utenza esterna, cioè impattano sul territorio», dice Aldo Fortunati dirigente dell?Istituto degli Innocenti di Firenze. I primi (e unici) dati globali sui nidi d?azienda in Italia sono proprio dell?Istituto degli Innocenti, che li ha fotografati in una fase di primo sviluppo (lo slancio dato dai 300 milioni della Finanziaria 2002). In quattro regioni italiane e nella provincia di Bolzano nel 2005 i nidi aziendali servivano già il 3,2% dell?utenza. In Liguria questa percentuale toccava il 13,8%. Il nido aziendale getta un ponte tra azienda e privato sociale: la quasi totalità delle industrie e delle grandi strutture pubbliche ha scelto di ?esternalizzare? il servizio. E l?interlocutore privilegiato è il non profit. «La gestione diretta di un asilo, per un?azienda, è quasi impensabile», sottolinea Susanna Mantovani. «Su questo nuovo bisogno, da una quindicina d?anni si è innestato il privato sociale, che garantisce un livello eccellente nel progetto pedagogico e nella qualità del servizio. Servono educatori formati ed esperti, il personale non deve essere soggetto a turn over».

Obiettivo: umanizzare l?azienda
Lo sa bene Eros Ferri, della cooperativa sociale Cesed (consorziata a Pan) che ha progettato e gestisce nidi nelle maggiori realtà aziendali del Paese: Fiat Mirafiori, Bicocca e Statale di Milano, Telecom a Torino, Cnr di Genova. «Il personale è strategico», conferma Ferri. «E ha un costo che copre praticamente il 90% della spesa. Gli educatori sono il nostro investimento: da noi trovano il rispetto della contrattazione collettiva nazionale e formazione in itinere».Gestire un nido aziendale è, paradossalmente, più semplice: «I genitori hanno più o meno gli stessi orari», spiega Ferri. E le rette? «Tenuto conto che il costo mensile di ciascun bambino è mediamente di 700 euro, ciascuna azienda decide come gestirlo», prosegue. Per il sostegno ai dipendenti l?impresa spesso si conforma alle fasce Isee, ma in altri casi è adottata una tariffa fissa calmierata (nell?ordine dei 200-250 euro).Ma il vero impatto che il non profit ha nella collaborazione con gli amministratori aziendali è forse nell??umanizzare? il rapporto con i dipendenti. «Certo, capita di dover partire dall?abc: perché è normale che i genitori siano presenti durante l?inserimento, perché un bambino non deve stare all?asilo più di 8 ore», sottolinea Barbara Urdanch, responsabile Cesed Piemonte. Barbara ha lavorato con i dirigenti Fiat per la creazione del nido di Mirafiori che, con 70 bambini, è il più grande nido aziendale d?Italia. Nell?asilo voluto da Sergio Marchionne ci sono mini-orti dove i bimbi seminano e raccolgono gli ortaggi, una mensa biologica. «Ci ispiriamo», spiega la Urdanch, «al principio che il bambino non è competitivo, ma competente: ha già tutto in sé».

Bicocca, consorzi d?avanguardia
Se a Mirafiori non è stato possibile aprirsi al territorio, il nido della Bicocca, che è frutto di un?esemplare collaborazioni tra pubblico, privato e privato sociale, destina invece circa un terzo dei 60 posti alle famiglie del quartiere. Altre tre aziende si ?appoggiano? alla struttura (Pirelli RE, Pirelli e Deutsche Bank). La stessa gestione, poi, è frutto di una partnership tra università, Cesed, Cgm e Milano Ristorazione, che si sono consorziati in ?Bambini Bicocca?. «Per noi», spiega Mantovani, «il consorzio è stata la soluzione migliore, dal momento che il coordinamento pedagogico partiva dall?università». Il risultato di tanto lavoro? «Buon umore e soddisfazione tra i dipendenti, oltre alla creazione di nuovi legami sociali tra le famiglie», assicura. «Per l?azienda il risultato è a lungo termine e sta nel miglioramento dei rapporti con i lavoratori, nella loro fidelizzazione. E nella rete di sostegno creata sul territorio».Trattar bene i genitori-dipendenti è un impegno anche a Vodafone, che assicura alle mamme lo stipendio pieno fino al settimo mese di maternità e turni agevolati per le lavoratrici madri dei call center. Non a caso, il nido Vodafone a Milano ha una lista d?attesa interna di 80-100 bambini (ne può accogliere 50). «Con un?età media dei dipendenti di 34 anni stiamo affrontando una specie di baby boom», spiega Alessandra Teruggi, responsabile Comunicazione.

Un nido a Palazzo Chigi
Ma il nido aziendale più famoso d?Italia forse è quello aperto nel 2002 da Stefania Prestigiacomo al ministero delle Pari opportunità. «All?epoca c?erano solo 10 posti. Ora la capienza è arrivata a 15, ma abbiamo una lista d?attesa di 23 bambini», racconta il direttore della struttura, Giuseppe Cosentino. Il governo ha scelto l?assunzione diretta (con bando e contratto a termine) dei due educatori responsabili. Per il resto, il nido di Palazzo Chigi è una struttura leggera (non c?è la mensa, i pasti li portano i genitori), con un?apertura flessibile dalle 8 alle 20.


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