Politica

Usa: Hillary ce la fa. E’ 3 a 1 contro Obama

La Clinton rovescia il trend e conquista Ohio, Texas e Rhode Island. I repubblicani incoronano McCain e danno il via alla campagna per le elezioni

di Alessandra Marseglia

Hillary Clinton ce l?ha fatta. Dopo undici battaglie perse di fila, accerchiata dalla stampa che insisteva per un suo ritiro dalla corsa e stretta al collo da Barack Obama ormai ad un passo dalla nomination, la senatrice di New York ha realizzato un piccolo miracolo, mettendo a segno tre vittorie in Ohio, Texas e Rhode Island. Ad Obama rimane solo il Vermont.

“Yes I will? ha dichiarato Hillary dal palco di Columbus stretta in un fiammante tailleur rosso. Il significato è chiaro: io, a differenza di Obama, non solo posso (can), ma voglio (will) e dunque ce la farò. ?Siamo sulla strada della vittoria? ha risposto Obama ostentando sicurezza, ma tradito da un po? di tristezza negli occhi per una nomination così vicina fino a ieri e oggi invece si così lontana.

In realtà, il senatore dell?Illinois continua ad essere in testa per numero di delegati, i margini di vittoria della Clinton sono sottili, nel caso del Texas, superano di poco il 3% dei voti. Ma questo martedì sera Hillary è riuscita in una grande impresa: risorgere quando tutti la davano per spacciata, fermare la ?valanga? Obama e dunque riaprire ufficialmente i giochi. Le era già capitato in New Hampshire, complici due lacrime scese giù durante una colazione con telecamere puntate e dopo aver incassato un?amara sconfitta nelle primissime elezioni dell?Iowa. Ma allora, la corsa era ancora molto lunga e il NH valeva solo una manciata di voti.

Oggi Hillary non solo ha dimostrato che può ancora vincere ma anche che i grandi Stati, quelli dell?America che conta economicamente, sono dalla sua parte: dopo New York e California, i risultati di oggi in Texas ed Ohio lo confermano. E questo non è un punto di poco conto perché è la carta da giocare al congresso dei Democratici in programma a Denver ad agosto: quando toccherà ai Superdelegati incoronare il candidato, Hillary potrà far valere i suoi successi nei Big States, e sperare così di ottenere un credito maggiore rispetto ad Obama.

Intanto, l?ex first lady si gode il momento, sperando che si protragga nelle sfide di Wyoming e Mississippi dei prossimi giorni, e magari che duri pure fino a quella in Pennsylvania del 22 aprile, quando in palio ci sono 188 delegati. A questo punto potrebbe accadere tutto e potrebbe non accadere niente. I due democratici sono in un ?testa a testa? così sottile che nessuno abbandonerà la corsa perché non ha i numeri necessari a vincere. Se Obama o Hillary lo faranno, sarà solo per motivi sopraggiunti, scandali o campagne mediatiche contrarie. Come quella che, ad esempio, sta coinvolgendo il senatore Obama, accusato in questi giorni dalla stampa di aver accettato denaro dal finanziere Tony Rezko, accusato di corruzione e frode.

Vincerà insomma chi tra i due saprà dimostrare determinazione e nervi saldi. Altrimenti, saranno i Superdelegati a scegliere.

La determinazione non è stata invece sufficiente a far vincere a Mike Huckabee la nomination Repubblicana. Negli ultimi mesi l?ex governatore dell?Arkansas ha continuato a combattere nonostante ogni evidenza, dichiarando più volte e senza vergogna di credere fermamente nei miracoli (?sono laureato in miracoli? ha detto, riferendosi al suo passato di pastore evangelico); finché oggi è toccato anche a lui pronunciare un discorso di disfatta e riconoscere in John McCain il candidato ufficiale dei Repubblicani.

Il senatore dell?Arizona, da tempo già front runner della destra americana, si è, infatti, ufficialmente vestito della corona raggiungendo i 1.081 delegati necessari. Dopo qualche settimana difficile di popolarità incerta tra i suoi stessi amici conservatori, negli ultimi giorni McCain sembra risalire rapidamente la china; lo scandalo denunciato dal New York Times (che riferiva di una presunta amante lobbista che McCain avrebbe favorito con leggi ad hoc) ha avuto l’effetto contrario di non screditare la sua immagine e anzi compattare i repubblicani intorno alla sua figura; domani, inoltre, è atteso l?endorsement del presidente George W. Bush, nemico di McCain di vecchia data che passerà il testimone al suo ex rivale nelle elezioni del 2000. Per il partito repubblicano, insomma, si chiudono già le primarie e si apre la campagna presidenziale. McCain ha iniziato a correre, ma per ora è da solo: i Democratici litigheranno ancora a lungo per la poltrona di candidato.


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