Non profit

Fondazioni. Intervista alla giurista Chiara Prele. Trasparenza cercasi

Una disciplina vecchia di oltre 60 anni, che non obbliga a una rendicontazione continua dell’attività. E che apre spazi a manovre spregiudicate. Ecco perché è urgente una riforma normativa.

di Christian Benna

E’ boom di fondazioni in Italia. Secondo l?ultimo rapporto Istat, un +57% nel giro di sei anni, per un patrimonio complessivo di 85 miliardi. Una crescita esplosiva, spesso da salutare con favore, ma da maneggiare con cura. Chiara Prele, consulente giuridico, ha appena mandato alle stampe il libro Fondazioni. Evoluzione di un istituto giuridico alla ribalta, edito dalla Fondazione Agnelli, che fa luce sullo sviluppo vorticoso di questi enti non profit. Si tratta di un viaggio attraverso le leggi che governano il mondo fondazionale (d?impresa, familiare, bancaria, universitaria…) e il cantiere aperto della riforma del Titolo II del Libro primo del Codice civile.
E&F: Dottoressa Prele, in Italia ci sono circa 4.720 fondazioni attive, il 57% in più rispetto a dieci anni fa. Gli italiani si sono scoperti superfilantropi con la passione per il non profit o c?è altro dietro a tanto interesse?
Chiara Prele: La fondazione è uno strumento molto duttile, che consente ampi margini di manovra: le norme del codice sono scarne, anche in termini di governance e non richiedono la trasparenza dell?attività. L?istituto ha quindi potuto essere scelto dalle pubbliche amministrazioni per avviare alcune organizzazioni verso una gestione privatistica. Pensiamo agli enti lirici, teatrali, museali, all?ipotesi di una fondazione Rai, ma anche al fenomeno più vistoso, quello delle fondazioni di origine bancaria. E c?è stato anche un discreto utilizzo da parte delle organizzazione non profit.
E&F: Perché afferma che c?è poca trasparenza?
Prele: La disciplina contenuta nel Codice civile risale al 1942, un?epoca in cui questo principio era estraneo all?ordinamento. Non ci sono obblighi di rendicontazione, tranne per le fondazioni bancarie e altre fondazioni costituite dal legislatore, rette da disciplina speciale. Questo finisce per penalizzare le fondazioni, poiché determina difficoltà nella conoscenza della loro attività, e quindi nel fund raising, importante per tante fondazioni. Altro aspetto della lacuna normativa è la mancanza di definizione del divieto di distribuzione degli utili, che è la vera essenza della fondazione. La fondazione non ha obiettivo di profitto, ma sulla remunerazione dei vertici mancano norme specifiche. All?angolo c?è quindi il rischio di manovre spregiudicate, utilizzando il veicolo fondazionale per fine ben diversi dal non profit. Questo è un punto su cui la normativa dovrebbe intervenire al più presto.
E&F: La riforma del codice a che punto è? La commissione Pinza aveva elaborato una testo definitivo in proposito?
Prele: Nella primavera scorsa la commissione aveva preparato un testo che poi però non è mai stato approvato ufficialmente. Neppure con dibattiti e convegni, come era stato fatto nella legislatura precedente sotto la guida di Michele Vietti, allora sottosegretario alla Giustizia. Ora toccherà ricominciare tutto daccapo con il nuovo governo. Altrimenti resteremo con norme vecchie, concepite negli anni 40 quando non si vedeva di buon occhio lo sviluppo dei corpi intermedi. Il risultato è la confusione di oggi e uno strumento come la fondazione, prezioso per il non profit, che resta in balìa degli interessi più disparati.

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