Politica

Comuni. Perché non sono decollati i Centri di aggregazione giovanile. L’oratorio dalle stanze vuote

Da 20 anni promettono di essere un polo di attrazione e invece i Cag non hanno mai spiccato il volo. Ma la mancanza di fondi non è l’unica ragione...

di Daniele Biella

Cag, Centri di aggregazione giovanile, questi sconosciuti. Erano nati per essere i luoghi ?protetti? per antonomasia, in cui gli adolescenti di tutta Italia avrebbero passato gran parte dei loro pomeriggi stimolando creatività, sane relazioni, senso civico. Sono oggi contenitori spesso vuoti (a parte qualche virtuosa eccezione), quasi sempre molto al di sotto del potenziale. «Consideriamo una presenza, già di per sé sovrastimata, di 100 giovani utenti in ognuno dei circa 900 Centri italiani: si arriva ad un massimo di 90mila ragazzi intercettati. Di certo non un servizio di massa», ammette Giovanni Campagnoli, responsabile della cooperativa sociale Vedogiovane che gestisce il Cag di Borgomanero, in provincia di Novara. È da qui che incomincia il viaggio di Vita alla scoperta dello stato dell?arte e di salute di questi luoghi d?incontro speciali, messi a disposizione dalle amministrazioni comunali e dati in gestione a cooperative e, più raramente, a parrocchie.

L?assise di Rovigo
Che oggi tali Centri siano un po? malati lo confermano i dati Istat: in Italia ci sono 9 milioni di ragazzi fra i 10 ai 24 anni, ma a conti fatti solo l?1% del totale frequenta i Cag. Pochi, pochissimi. Se ne sono accorti gli operatori intervenuti al secondo meeting biennale dei centri giovanili d?Italia, tenutosi lo scorso novembre a Rovigo e organizzato da Associanimazione, associazione nazionale di animazione sociale composta da 30 realtà non profit e presieduta proprio dalla Vedogiovane di Campagnoli. Il quale precisa che «la cifra di 900 Cag è una stima perché, a causa dell?alto grado di spontaneismo, è di fatto impossibile arrivare a un numero esatto». Del resto persino al Pogas, cioè al ministero delle Politiche giovanili e attività sportive, alzano le braccia. «Mai fatto un censimento, anche se, prima della caduta del governo, qualcosa in tal senso era stato avviato. Si è arrivati a metà strada», abbozza Annalisa Cicerchia, consulente del ministro Giovanna Melandri. «I Centri di aggregazione giovanile sono per natura luoghi destrutturati, diversi l?uno dall?altro, che nascono e scompaiono di continuo», conferma Stefano Laffi, sociologo dell?agenzia Codici, docente di Politiche sociali all?università Cattolica di Milano e coordinatore del Manifesto dei Cag della Provincia di Milano, pubblicato a novembre 2006. Come spiega Laffi lo scarso appeal dei Cag? Spesso è un problema di reputazione, «i Cag, sopratutto nelle grandi città, sono percepiti come un luogo ristretto, e frequentati solo in mancanza di alternative».

Lo Stivale spezzato in due
La diffusione geografica, poi. è un altro aspetto significativo. Nel 2008 i centri giovanili riconosciuti come Cag, pur raddoppiati rispetto a dieci anni prima («da quando è entrata in vigore la legge 285/97 sulla promozione delle opportunità giovanili, legge finanziata con 550 milioni di euro», precisa il responsabile di Vedogiovane), si trovano in non più di 11 regioni su 20. «Una presenza a macchia di leopardo, con alti e bassi notevoli», riprende Campagnoli, ideatore del sito web informativo Politiche Giovanili, che raccoglie molte delle esperienze aggregative italiane. «Basti pensare che i due terzi dei Cag si trovano al Nord, tra Piemonte, Triveneto e Lombardia, dove si contano ben 350 centri». Scendendo la penisola, fatta eccezione per le Marche, piccola isola felice in cui sono aperti 180 Cag, il quadro si fa via via desolante. «Al Sud e nelle isole, tolti i pochi centri pugliesi e sardi, è tabula rasa», lamenta Campagnoli, «Cag propriamente detti, ovvero promossi dalle amministrazioni, non ce ne sono. L?unica forma aggregativa, informale, rimane l?oratorio». Eppure qualche tentativo è stato fatto. «Abbiamo contatti per avviare esperienze simili alle nostre, a Locri in Calabria e nel quartiere di Scampia a Napoli», continua Campagnoli, «ma il problema è sempre lo stesso: tutti ci dicono che i fondi ci sarebbero, ma è difficile farseli assegnare. Chi li gestisce li tiene ben stretti».

Manca il volano
Mentre le istituzioni latitano, i Cag stanno cambiando faccia. Perché se è vero che i centri fino ad ora hanno costituito una grande occasione persa per prendere in mano la ?questione giovanile?, è altrettanto vero che alcune esperienze di successo sono nate. E proprio queste realtà oggi fungono da locomotiva del sistema. I laboratori più vivaci ancora una volta si trovano in Lombardia e nelle Marche. Domenico Acampora è il responsabile del Centro giovanile, aperto nel 1992, di Cernusco sul Naviglio, nella cintura milanese. Proprio nel cuore della Lombardia, la Regione che esattamente 20 anni fa, per la prima volta, inserì la dicitura Cag nel suo Piano socio-assistenziale, ancora oggi in vigore. Il segreto di Cernusco è il radicamento territoriale. «Che abbiamo realizzato mettendo in rete i Cag della zona in una sorta di cabine di regia che abbiamo chiamato Collegamenti territoriali». L?altro caso scuola è quello marchigiano. «Un vero modello a sé, con la maggioranza dei 180 Centri diffusi in paesini di poche migliaia di abitanti», interviene Stefania Santarelli, responsabile Politiche giovanili della cooperativa sociale Coopres e coordinatrice del progetto regionale che nel 2004 ha prodotto un Manifesto dei Cag marchigiani. «Ad esempio, nella sola Porto Sant?Elpidio, un paese di 23mila abitanti, esistono quattro Cag». In regione, non è un caso, negli ultimi anni sempre più Comuni hanno aperto un capitolo di bilancio esclusivo per i Cag». Ma i giovani arrivano? «Abbastanza…», risponde la Santarelli.

Per saperne di più: <a href=”http://www.politichegiovanili.it” target=”_blank”>Rete Informativa</a> <a href=”http://www.associanimazione.org” target=”_blank”>Associanimazione</a>- <a href=”http://www.coopres.it” target=”_blank”>NuovaRicercaAgenziaRes</a>

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