Politica

I Piani di zona fanno sbocciare la coesione

Lombardia. È boom dei forum locali del terzo settore (di Francesco Dente).

di Redazione

All?appello mancano ancora Sondrio e Lecco. Nell?ultima delle Province arrivate, Monza, è stato già istituito. Dieci forum provinciali del terzo settore nel complesso. Dieci luoghi di discussione e di rappresentanza della galassia delle associazioni non profit. Ai quali vanno sommati altri sei sorti negli ambiti distrettuali lombardi. Totale: 16 forum, più naturalmente la struttura regionale. Tutti nati, chi prima chi dopo, nell?ultimo lustro. Un boom che nell?anno appena concluso ha registrato il picco più alto. Galeotto, è il caso di dirlo, fu il Piano di zona. I forum sono stati concepiti infatti negli uffici di Piano istituiti dai Comuni.I forum, in alcuni casi sono nati proprio su impulso delle municipalità. «L?esperienza dei Piani di zona», dice Fabrizio Tagliabue, uno dei due portavoce del Forum regionale lombardo, «ha favorito la coesione fra i soggetti del non profit e stimolato, pur fra mille problemi, la conoscenza reciproca e la sintesi della rappresentanza. Il percorso in comune, sollecitando il confronto fra organizzazioni, si è rivelato un?opportunità di condivisione. È stato il terreno su cui è fiorita la collaborazione. Credo che il processo sia stato favorito per alcuni versi anche dall?indebolirsi del sistema delle appartenenze e dalla diffusione dei progetti integrati che chiedono a più soggetti di fare pezzi di strada insieme». Un risultato tanto più lusinghiero se si considera che il non profit lombardo si trova fra l?incudine e il martello: da un lato l?assenza di una legge di attuazione della 328 che faccia chiarezza sui criteri che disciplinano la partecipazione e la rappresentanza del non profit; dall?altro, come accade del resto in altre parti d?Italia, un?attenzione per la co-progettazione da parte dei Comuni e delle Asl blanda e formale. «La confusione», osserva Tagliabue, «la fa da padrona. Si ha l?impressione che gli attori istituzionali, in primis la Regione, preferiscano avere le mani libere per poter scegliere gli interlocutori che gli fanno più comodo». La strada che collega il terzo settore e le istituzioni col tempo si è ampliata ma, questo il punto, è percorsa il più delle volte a senso unico. «Il Tavolo permanente del terzo settore istituito dalla Regione è solo un luogo di comunicazione, non di discussione. Ci convocano per dirci che è stato adottato questo o quel provvedimento. Idem a livello territoriale: la collaborazione si limita alla fase dell?analisi del bisogno. Facciamo un gran lavoro nei tavoli tematici ma poi i tavoli politici, quelli in cui si decide sull?utilizzo delle risorse, non ne tengono gran conto».Uno scenario confermato da una ricerca condotta da Lavinia Bifulco e Laura Centemetri (Stato e mercato, n. 80, agosto 2007) sui sistemi di governance nei Piani di zona. Il modello lombardo, caratterizzato dal ruolo chiave degli utenti-consumatori e dalla loro libertà di scelta, pone al centro dell?attenzione l?organizzazione economica e la razionalizzazione della rete dei servizi. Dunque, nonostante la presenza di un tessuto associativo più ricco rispetto a quello di altre Regioni, la partecipazione del non profit risulta meno inclusiva. «È l?equivoco del modello lombardo», osserva Tagliabue. «La sussidiarietà non può essere finalizzata solo al contenimento dei costi. Chiediamo di essere parte integrante e non integrativa delle politiche di welfare locale. Ai tavoli devono trovare posto con pari dignità tutti gli attori del terzo settore. Non solo i soggetti che erogano servizi».

Francesco Dente


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