Welfare
Immigrati: Caritas, i rumeni in Italia sono un milione
Ogni 6 nuovi assunti stranieri 1 è romeno. E' quanto emerge dal terzo dossier della Caritas "Romania. Immigrazione e lavoro in Italia", presentato oggi a Roma
di Redazione
Sono circa un milione i romeni presenti in Italia all’inizio del 2008. Una cifra aumentata in modo vertiginoso dagli 8mila del 1990: nel giro di appena 17 anni sono diventati circa 100 volte di più, ben al di sopra delle già consistenti collettività di albanesi e marocchini. E’ la fotografia scattata dal rapporto “Romania. Immigrazione e lavoro in Italia” della Caritas italiana, il terzo dedicato all’immigrazione dall’est Europa. All’inizio del 2007, su un totale di 3.690.000 stranieri regolari i romeni sono risultati 556.000 secondo la stima del Dossier Caritas/Migrantes, per il 53,4% costituiti da donne. Aggiornata all’inizio del 2008 e basata sull’utilizzo incrociato di tutti gli archivi disponibili, la stima di massima è di una presenza di 1.016.000 romeni, inegualmente ripartiti tra motivi di lavoro, di famiglia e altre ragioni. Secondo la stima della Caritas, al 31 dicembre 2007 in Italia per motivi di lavoro si trovavano 749.000 romeni (73,7%), di cui 557.000 occupati dipendenti, 13.000 parasubordinati, 16.000 autonomi, 56.000 disoccupati, 107.000 in area informale. Altri 239mila sono in Italia per motivi di famiglia (23,5%): 116.000 sono minori 116.000. Per altri motivi sono in Italia 28.000 romeni (2,8%). Il totale delle presenze stimato dalla Caritas al 31 dicembre del 2007 è di 1.016.000 romeni. Trattandosi di una stima di massima, spiega il dossier, non è esclusa per motivi di prudenza una diminuzione del risultato finale tra il 10% e il 15%. Bisogna, infatti, tenere conto che nel corso del 2007 parte degli occupati può essere rimpatriata, che i disoccupati in parte possono sovrapporsi a quelli dell’area informale, che un certo numero di familiari è soggetto a essere conteggiato come occupato o anche in altre situazioni lavorative. Anche se si trattasse di 850 mila persone, i romeni rimarrebbero di gran lunga la prima collettività, per giunta con una crescente tendenza alla stabilizzazione attestata dall’insediamento familiare. Con circa 200.000 unità di romeni presenti troviamo il Lazio (la provincia di Roma supera da sola le 100.000 presenze), con 160.000 la Lombardia, con 130.000 il Piemonte, con 120.000 il Veneto, con 80.000 l’Emilia Romagna e la Toscana e, nel Meridione, con 20.000 Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia. Al Sud l’aumento dei romeni (sia maschi che femmine) è stato in percentuale più consistente, anche perché partiva da numeri più bassi rispetto ai contesti del Centro-Nord. Una presenza così consistente e diffusa, come già avvenne per il Marocco e l’Albania, ha generato una sorta di “sindrome da invasione”, una eventualità improbabile trattandosi di un paese caratterizzato dall’invecchiamento della popolazione, dal buon andamento economico e dal forte bisogno di trattenere forza lavoro aggiuntiva. Si è, invece, trascurato di riflettere sufficientemente sull’apporto che i romeni assicurano al “Sistema Italia”. Ogni 6 nuovi assunti stranieri 1 è romeno. E’ quanto emerge dal terzo dossier della Caritas “Romania. Immigrazione e lavoro in Italia”, presentato oggi a Roma. secondo stime, i romeni garantiscono l’1,2% del Pil italiano (Avvenire). Nonostante l’alto livello di preparazione, essi trovano sbocco però nei posti meno garantiti e, perciò, sottoscrivono in media 1,5 contratti l’anno. L’inserimento avviene per un terzo nell’industria, per la metà nel terziario (assistenza familiare, alberghi e ristoranti, informatica e servizi alle imprese) e per il 6,6% in agricoltura. In Italia gli immigrati, all’incirca 1 ogni 10 occupati, sono diventati una componente strutturale e sempre più rilevante del mercato occupazionale, in cui il tasso di disoccupazione è da anni in costante diminuzione: ormai sono gli immigrati a coprire i due terzi del fabbisogno di nuova forza lavoro e i romeni stanno in prima fila. L’aumento degli occupati registrati dall’Inail tra il 2006 e il 2007 è stato eccezionale, passando da 263.200 a 557.000, anche se solo in parte si è trattato di nuovi venuti e in larga misura di persone già presenti in Italia ed emerse grazie alla normativa più favorevole derivante dall’adesione all’Unione Europea. Sono aumentati specialmente gli uomini (dal 51,7% al 54,1%), avendo molti di loro (70.000) fruito delle misure di emersione nel settore edile (la legge 4 agosto 2006, n. 248, il cosiddetto “pacchetto Bersani in edilizia”); purtroppo, contemporaneamente è diminuito il numero di ore lavorate e sono aumentati i rapporti part-time, spia della maggiore diffusione del lavoro “grigio”. La retribuzione loro corrisposta è leggermente inferiore a quella media percepita dalla totalità degli immigrati (10.042 euro nel 2004, secondo l’Inps): le donne percepiscono il 40% in meno rispetto agli uomini. Un buon numero di donne romene (più di 1 ogni 4) lavora nel settore dell’assistenza alle famiglie ed è tutt’altro che scontato che i loro rapporti di lavoro siano del tutto emersi dopo l’ampliamento dell’Ue. È vero, tuttavia, che le donne romene, in misura ben più consistente rispetto a quelle filippine o di alcune collettività latino-americane, sono inserite anche in diversi altri settori (come quello infermieristico, ad esempio). Quanto al loro rapporto con il sistema previdenziale, la Caritas spiega che i romeni sono al momento marginali fruitori non solo delle prestazioni pensionistiche ma anche delle prestazioni temporanee erogate dall’Inps. Invece, per quanto riguarda le prestazioni assistenziali, un certo numero di accertamenti ha motivato il sospetto che parte dei lavoratori neocomunitari (essi stessi o i loro familiari), complice la vicinanza dei paesi di origine, possono incorrere in un indebito “turismo sociale” e fruire delle prestazioni assistenziali (assegno sociale) sulla base di una residenza formalmente dichiarata ma non effettiva.
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