Welfare

Quello che non avete capito della Cina

Intervista a François Jullien. La Cina è l’«altrove» per eccellenza dell’Occidente.

di Sara De Carli

Il countdown si è fatto breve. Pechino è vicina. Mancano meno di sei mesi a quelle che saranno le più costose, le più scenografiche, le più perfette Olimpiadi della storia. Quelle che fin dal 2001 i cinesi attendono e preparano come l?evento che decreterà il loro primato mondiale, l?agognato superamento degli Stati Uniti: e il medagliere sarà (solo) un fregio simbolico da appuntarsi al petto. Sarà l?anno del Dragone, non c?è dubbio. Ma noi ne sappiamo poco. Gli economisti ci hanno erudito minuziosamente sulle ragioni per cui la Cina inanella successi, ma nessuno ci ha mai aiutati a penetrare il pensiero che si cela al di là degli occhi a mandorla. Inutile negarlo: la Cina è l?«altrove» per eccellenza dell?Occidente. La sua storia e la nostra storia, per secoli, non si sono incrociate. E quando questo è capitato, le radici della cultura erano ormai saldamente piantate in due terreni diversi. Per François Jullien questa è una indicibile fortuna: uno specchio che ci consente di comprendere meglio noi stessi, di pensare l?impensato, di mettere in discussione le fondamenta del nostro modo di pensare. Ozioso filosofare? Pensate che Jullien, di questo passo, spiega anche perché la Cina ha un deficit di democrazia: non ha avuto Platone e le sue idee. Che è poi la stessa ragione per cui, qui da noi, i politici fanno i programmi elettorali sapendo benissimo che non li realizzeranno mai.

Vita: Partiamo da qui…
François Jullien: Quando i partiti fanno i programmi, tutti sanno che non è per applicarli. Perché poi vengono le circostanze: tutti lo sanno, nessuno è scemo. Ma allora a cosa serve la modellizzazione in politica? Non ad applicarla, ma a favorire la concertazione o, direi, a fare la democrazia. I programmi elettorali vengono scritti non per applicarli, ma per discuterli, per suscitare prese di posizione, per organizzare il dibattito. Poprio quello che non troviamo in Cina. Senza modellizazione è assente ogni possibilità di discussione pubblica e di mobilitazione volontaria.

Vita: Un tema caldo, anche per le Olimpiadi. Cosa dovrebbe fare l?Europa?
Jullien: I diritti umani sono parte di una storia singolare, europea, anche se ora si pretende che sia universale. Occorre distinguere tra un versante positivo e uno negativo dei diritti umani: c?è dissimetria tra le due facce della questione. Dal punto di vista dei contenuti positivi è chiaro che, ad altre latitudini, essi possono essere considerati discutibili (per esempio il mito dell?individuo o la felicità come fine ultimo) e quindi non possono pretendere di insegnare agli altri come vivere, che la loro etica prevalga sulle altre. Tuttavia restano uno strumento insostituibile per dire ?no? e protestare: per segnare un limite all?inaccettabile, per appoggiare su di essi un principio di resistenza. È questo il versante ?negativo? dei diritti dell?uomo, che ha una vocazione transculturale e transtorica: e l?Europa deve difenderla.

Vita: Lei arriva a queste conclusioni con un percorso filosofico: perché la Cina ci aiuta a comprendere meglio noi stessi?
Jullien: La Cina rappresenta un caso unico: la sua civiltà si è sviluppata per un tempo lunghissimo senza entrare in contatto con l?Europa. Questo si manifesta nella sua lingua e nella sua storia: il cinese è una lingua che non si coniuga né si declina, mentre dall?altra parte occorre attendere la fine del XVI secolo per avere i primi scambi tra Cina ed Europa. Questa alterità della Cina rispetto all?Europa dà da pensare. Permette infatti di vivere uno ?spaesamento del pensiero?, scoprendo un pensiero che si è sviluppato a prescindere dai nostri riferimenti impliciti, dai presupposti del nostro pensiero europeo, su ciò che il nostro pensiero non interroga, considerandolo una evidenza. Penso al concetto di efficacia, a cui ho dedicato un libro, ma anche alla ?trasformazione silenziosa?, globale e troppo progressiva per essere percepibile (come nei cambiamenti climatici), oppure al tema della ?regolazione?, ovvero come mantenere l?equilibrio attraverso il cambiamento.

Vita: L?efficacia è il mito dell?Europa di oggi. Lei critica il modello, definendolo troppo teatrale. Quali sono i suoi limiti?
Jullien: Io non critico la concezione europea dell?efficacia: la confronto con un?altra possibilità. Ciò che caratterizza l?efficacia europea è che si pensa in termini di modello, di un piano conosciuto in anticipo e posto in atto con un fine, e che fa appello alla volontà per far entrare questo modello ideale nella realtà, con tutto ciò che ?fare entrare? presuppone in termini di sforzo e anche di far forza. In questa azione c?è sempre un gap fra il livello della concezione teorica e quello della messa in pratica. La concezione cinese dell?efficacia invece non conosce l?idea del modello: si basa sul ?potenziale della situazione?. La strategia cinese non consiste nel costruire un ?piano d?azione?, ma ricerca all?interno della situazione presente i fattori favorevoli, sui quali appoggiarsi per riuscire. Questa concezione riprende in modo positivo quel che invece in Occidente è considerato come negativo: le circostanze. Noi concepiamo le circostanze come un ostacolo alla perfetta realizzazione del piano ideale: per colpa delle circostanze, che sono sempre variabili, la situazione non è mai riconducibile perfettamente al modello.

Vita: Ulisse aveva la capacità di trarre vantaggio dalle circostanze: la metis era una virtù, come in Cina. Saremmo stati meglio senza Platone e le sue idee?
Jullien: La metis è la capacità di trarre vantaggio dalle circostanze, appoggiandosi sui ?fattori portanti? della situazione. Ulisse è effettivamente un buon esempio di come nel pensiero greco antico c?era questa concezione positiva del ?fiuto?, di senso degli affari. Questa concezione poi con Platone è stata rimpiazzata dall?idea di eidos, del modello ideale, che è diventato il concetto base di tutta la filosofia occidentale. Ma non dimentichiamo ciò che la forma e il paradigma hanno permesso: applicandoli alla matematica e alla fisica, grazie al concetto di forma, l?Europa ha conosciuto uno sviluppo tecnico senza pari. Quindi c?è una fecondità evidente del rapporto fra teoria e pratica, ideale e concreto. La questione che io, dinanzi alla diversa concezione cinese, pongo, è un?altra: e cioè se non c?è una coerenza che rifugge la modellizzazione.

Vita: Oggi il mondo del lavoro punta sul raggiungimento degli obiettivi, ci sono i contratti a progetto, è partendo da lì che si costruisce tutto. È possibile sganciarsi da questa logica? Un?organizzazione del lavoro basata su una logica non teleologica sarebbe più efficace?
Jullien: L?efficacia legata alla modellizzazione si basa sul concetto di scopo. L?idea cinese non è quella di proiettare sulla realtà i nostri scopi, ma di esplorare i fattori favorevoli della situazione, per farli progressivamente maturare. È vero che pensare per obiettivi a volte può apparire molto costringente, ma non dimentichiamo che il programma – anche quando non è messo in pratica – consente il dibattito democratico. Ne parlo, in questo momento, con accezione aziendale. In Cina chi manipola il potenziale della situazione ottiene effetti migliori se si confonde lui stesso con la manipolazione, con il processo. E quindi è spesso solo.

Vita: L?idea di sfruttare il potenziale della situazione non rischia di minare l?affidabilità delle relazioni interpersonali e di svuotare il fattore ?capitale sociale? oggi così osannato?
Jullien: Distinguiamo due cose: dire ciò che pensiamo o mantener fede a ciò che diciamo. In Cina non conta tanto la sincerità, quanto il mantenere la parola. L?importante è divenire affidabile dentro il rapporto con gli altri, rendere la relazione praticabile. Chi vuole fare affari in Cina non deve voler realizzare il più possibile le sue idee e i suoi obiettivi, ma nutrire le relazioni, impiantarsi nella durata, accumulare progressivamente un potenziale di affidabilità tale che a un certo punto l?altro non debba più nemmeno interrogarsi su di essa.

Vita: «I cinesi sanno aspettare che cresca il seme», dice. La Cina ci sorpasserà economicamente solo perché i tempi sono maturi? Non possiamo reagire?
Jullien: Sì, alla modellizzazione europea si contrappone la maturazione cinese. La maturazione è un processo iscritto nella stessa situazione: è il seme posto nella terra, che non domanda altro che di crescere. Si tratterà solo di bagnarlo e sarchiare la terra attorno, per aiutare la sua crescita. Si tratterà solo – come dice Laozi – di aiutare ciò che viene da solo. Oggi ciò che favorisce la Cina rispetto all?Occidente, sul piano economico, è che ha due modalità di azione: hanno imparato a modellizzare, come facciamo noi, ma allo stesso tempo possono ancora contare su un?altra risorsa, che è il far maturare la situazione. Non voglio dire che noi dobbiamo diventare cinesi e abbandonare la modellizzazione e il concetto di efficacia che conosciamo: però credo che sarebbe utile per noi comprendere anche questa altra forma di efficacia, che già conosciamo nell?esperienza ma che non abbiamo mai teorizzato. Anche noi dovremmo imparare a modellizzare e far maturare, proiettare le nostre idee sulle cose e trarre vantaggio dalle cose. L?una e l?altra cosa.

Vita: Lei critica nell?efficacia europea l?eccesso di eroismo, individualismo, epopea. Meglio il collettivismo cinese?
Jullien: Ma anche la Cina ha conosciuto l?opposizione tra individuale e collettivo. Non è corretto contrapporre l?individualismo-Occidente e il collettivismo-Cina. Quel che sembra disalienazione dal punto di vista dell?individuo, può essere letto come un?insufficiente integrazione dal punto di vista del collettivo. E il pensiero europeo non ha mai smesso di pensare le condizioni di una comunità non alienante.

Vita: La logica cinese quindi è molto basata sul nesso consequenziale: come può allora conciliarsi con una tradizione europea che punta tutto sulla libertà e respinge il determinismo?
Jullien: Non credo che determinismo sia la parola giusta, poiché il pensiero cinese non ha mai conosciuto l?alea iniziale… Per questo la Cina non ha costruito l?idea di libertà in opposizione a quella di determinismo. Distinguiamo piuttosto i vari significati di libertà: la libertà è sia la capacità di fare ciò che vogliamo (exousia), sia la libertà di dire ciò che pensiamo (parresia), sia la libertà politica propriamente detta (eleutheria). Diciamo che la Cina ha poco sviluppato quest?ultima accezione della libertà, la libertà politica. Quello che, invece, ha raccomandato è la ?disponibilità? del saggio: non favorire l?uno a svantaggio dell?altro, ma valorizzare ugualmente l?uno e l?altro e non essere ambigui nella parzialità; conservare aperto l?orizzonte del futuro, nell?ampiezza che costituisce anche la sua pienezza, senza vincolarsi con nessun apriori.

Vita: Lei afferma che l?Europa potrà pur diventare seconda nella produzione, ma avrà sempre da spendere la sua saggezza, la sua consuetudine con il senso e il non senso. Lo diceva anche Simone Weil in Sul colonialismo, nel 1943. In 60 anni l?Europa non è stata capace di assolvere quel compito: cosa le fa pensare che sarà in grado di farlo ora?
Jullien: L?idea cinese di ?potenziale della situazione? peserà sempre di più nel mondo. La Cina però non potrà solo copiare dall?Occidente un modello politico o delle conoscenze scientifiche: quanto più starà a contatto con l?Europa, tanto più dovrà porsi la questione del senso. Dove conduce tutto questo arricchirsi? A quel punto, se l?Europa non sarà ancora morta, potrà intervenire, perché noi, qui, abbiamo una lunghissima esperienza delle questioni di senso, elaborate nella religione e nella filosofia. La saggezza potrebbe anche non essere dalla parte che crediamo: non là nell?Oriente dei guru della new age, ma qui nella vecchia Europa.


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