Cultura

Uno scalfari dai toni nietzschiani

Autobiografie. Il giornalista rilegge il suo Novecento

di Andrea Leone

Eugenio Scalfari, direttore dell?Espresso negli anni 60, poi fondatore de La Repubblica, è oggi certamente il più noto e autorevole dei giornalisti italiani, ancora attivo come opinionista sulle pagine del giornale che ha fondato più di trent?anni fa. A 84 anni suonati, Scalfari ora firma la propria autobiografia, un romanzo di pensiero, un diario in pubblico che è soprattutto un tentativo di rispondere alle più classiche delle domande metafisiche: ?Chi sono??, ?Chi sono stato??, ?Che cos?è il tempo??.

Un testo breve ed essenziale, dai temi e toni decisivi: quindi una preziosa testimonianza su alcuni dei massimi eventi del Novecento italiano ed europeo. Ma soprattutto il dialogo di un uomo con se stesso attraverso il tempo.

Gli altri sono la storia, dice Scalfari, e la storia è l?unica vera dimensione dell?identità. L?intero libro è il documento di uno sforzo enorme e incessante, che conferisce dignità all?uomo: vincere la propria solitudine, ?fare i conti con la morte?, dare tutto se stesso, non risparmiarsi.

Scalfari scava minuziosamente nel proprio passato, a partire dalla prima infanzia, ma non cede alla nostalgia, alla tentazione di preferire il tempo andato a quello presente, per volervi abitare. Il suo passato è in realtà un presente continuo: il verbo principale del libro è infatti l?imperfetto. Il passato è per Scalfari un repertorio del pensiero: una sorta di memoria attiva, una incessante lezione per il presente. Per lui solo la vita comunitaria è la vera vita; solo ciò che può essere detto e pensato ora è realmente esistito.

Dopo l?età magica dell?infanzia arriva il demone dell?individualità, la prigione dell?io: per il giornalista romano è il tempo della lotta, è la storia, l?epoca delle scelte esistenziali: il fascismo, l?apprendistato da giornalista presso Il Mondo di Mario Pannunzio, l?Italia della ricostruzione, il 68.

Un?idea profondamente laica percorre tutto il libro, il cui titolo richiama intenzionalmente Nietzsche. Da qui lo stile di questo romanzo-verità: secco, lucido, privo di ogni ornamento retorico ed autocompiacimento, come una lunghissima, razionale elaborazione di un lutto.

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