Formazione

Il caro-cibo in carne ed ossa

Cosa succede se triplica il prezzo del riso in un Paese in cui la metà della popolazione vive con 400 dollari l’anno? «Il primo effetto è il boom di morti da malnutrizione abbandonati nelle strade»

di Redazione

Negli ultimi 20 anni i produttori nei Paesi poveri non sono riusciti a reggere la concorrenza e a vendere a buon prezzo: costava meno comprare il riso importato che produrlo localmente. Questo è successo anche ad Haiti: in due decenni la produzione di beni agricoli è passata dall?80% del cibo consumato al 30, creando una dipendenza quasi totale dalle importazioni. Se questo fenomeno si aggiunge al fatto che ad Haiti l?80% della gente vive in povertà estrema e il 50% con 400 dollari all?anno, è facile dedurre che il costo del riso moltiplicato per tre è un rincaro che non può essere assorbito dalla popolazione.

Anche gli Usa hanno subito lo stress del rincaro – la benzina, il cibo – ma sono in grado di assumersene il peso, perché possono smettere di comprare altri beni. Ma nei Paesi poveri il rialzo dei prezzi vuol dire che oggi non si mangia. La situazione è peggiorata negli ultimi mesi, c?è molta fame e molta disperazione. La gente diventa più aggressiva, e questa aggressività viene usata per fini politici. Le violenze in Haiti hanno fatto sì che il primo ministro abbia perso il suo lavoro – è la prima volta che succede qualcosa del genere.

Un girone infernaleUn problema sociale – la fame – finisce per dirigere l?agenda politica e decidere chi prenderà il potere. Stiamo vivendo una situazione molto tesa. Le violenze non hanno riguardato solo la capitale, ma tutto il Paese. La gente è scesa in strada. Lavoriamo con bambini, e vediamo moltissimi casi di malnutrizione, ogni mattina dopo la messa facciamo un rituale per i bambini morti, una realtà che tocchiamo con mano visto che ci incarichiamo di seppellirli, e quando li seppelliamo sono già scheletri.

Quello che succede con i cadaveri dei poveri è disumano. A Port-au-Prince quelli che spirano sulla strada sono destinati ad essere raccolti da un bulldozer e scaraventati in una fossa. Noi cerchiamo di fare quello che possiamo per seppellirli, ma non possiamo fare bare di legno per via della deforestazione, quindi prendiamo cartone dalle fabbriche e con l?aiuto di sette dei nostri ragazzi, che sono cresciuti nel nostro orfanotrofio e lavorano con noi, costruiamo circa 90/100 bare al mese. I bimbi li seppelliamo insieme, perché probabilmente seppelliamo più di 300 bimbi al mese, ma non potremmo mai costruire abbastanza bare. Cerchiamo di dare un po? di dignità alla morte.

Voglia di vivere
Nonostante tutto, a Port-au-Prince c?è voglia di vita. Gestiamo un orfanotrofio e un ospedale con 150 letti, c?è poi il lavoro in prima linea sulle strade, con i bambini e gli adolescenti, dove sei tu che ti muovi e vai dove hanno bisogno di te, senza l?aiuto di strutture. L?ospedale cura circa 40mila bimbi all?anno, l?orfanotrofio ha programmi per quasi 100mila bimbi, tra quelli che ci vivono e quelli ai quali diamo una formazione, poi abbiamo cliniche mobili che girano in diverse zone povere della capitale, che danno assistenza sanitaria a circa 80 persone al giorno.Una delle nostre speranze, qui ad Haiti, sono i giovani che siamo riusciti a formare, età media 16 anni, li chiamiamo ?giovani leaders?, e lavorano come educatori con i più piccoli. Cerchiamo di dare lavoro, perché il lavoro umanizza le persone. La povertà, l?ignoranza de-umanizzano, e quello che cerchiamo di fare è dare gli strumenti ai giovani per creare un mondo più umano intorno a loro. Oltre all?assistenza, cerchiamo di portare avanti attività produttive, che oltre al risvolto sociale implichino un ritorno economico, in modo da dare sostenibilità agli altri progetti. Con queste iniziative riusciamo a finanziare il 20% degli interventi sanitari e scolastici.

Per saperne di più: www.nphitalia.org


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