Volontariato

Naso a naso col dr. Patch

Buona salute. Un giorno in corsia con il profeta della clownterapia

di Redazione

Un indice fuori misura ondeggia nell?aria facendo un segno negativo. «No show», dice la voce del proprietario di quel dito, un omone alto due metri con un enorme naso rosso, una gallina (di peluche) in testa e una lunga trota (di gomma) in mano. «Non sarà uno spettacolo». «Ok, Patch», risponde in coro il gruppo di clown-dottori, nove fortunati che stanno per vivere un momento storico, un?ora di clownterapia con chi l?arte del ?guarire facendo ridere? l?ha inventata, il dottore Patch Adams. Proprio lui, ?quello del film?, ma non l?attore Robin Williams, bensì il vero Patch, che oggi ha 63 anni e vive tra il West Virginia e le decine di luoghi nel mondo dove realizza le sue missioni del sorriso.

In corsia a Vimercate
Luoghi come Vimercate, provincia di Milano, dove ci troviamo ora. Il setting è l?ospedale pubblico, e mentre fuori si consuma una domenica piovosa di fine maggio, nel reparto pediatria il clima è più che sereno: sono in trepida attesa i bambini nelle stanze che Patch si appresta a visitare; i loro genitori, increduli di poter passare momenti di gioia in un luogo che spesso dispensa dolore; le infermiere, i dottori, che già accolgono nasi rossi durante la settimana (grazie ad associazioni italiane di clown come la Vip, l?Avs, Dottor Sorriso) ma che ora stanno per stringere la mano a un uomo che, con il sorriso, visita e guarisce malati da almeno 45 anni, in barba alla medicina canonica, quella delle pastiglie e dei salassi economici per ottenerle.

«Siamo qui per diffondere empatia e voglia di star bene. Quindi concentratevi sui malati, sui loro bisogni, e ricordatevi che io sono vostro ospite, non trattatemi come un leader», riprende Patch mentre saliamo in ascensore e arriviamo in reparto dal retro, a sorpresa. Il primo a vederci è un bimbo, che si blocca incredulo, a bocca aperta. L?omone Patch si abbassa, dispensa sorrisi, si fa capire aiutato da Cristina, la sua traduttrice per ogni viaggio italiano. Il bambino corre a chiamare il papà, e con lui arrivano tutti: in un attimo, la corsia del reparto è invasa da almeno un centinaio di persone. Patch, abituato a questi momenti, non nasconde il suo disagio: «No photo, please», chiede ai fotografi presenti, «non troppe, almeno». Un attimo dopo si è già intrufolato nella prima stanza sotto tiro, nella quale un neonato è intubato e la madre, alla vista di quell?uomo così strano che la chiama «Mamma», scoppia in un pianto irrefrenabile, liberatorio.

«I genitori, nella clownterapia, sono anche loro dei pazienti, quindi vanno curati», recita un altro must del Patch-pensiero. Nelle stanze prima si bussa, poi si entra in pochi, massimo tre alla volta, il numero giusto per non essere invadenti. Nella seconda che visita Patch ci sono anch?io. C?è Amira, cinque anni, dal Marocco. È debole, ma a vedere il clown sorride, soprattutto quello alto, con i capelli metà grigi e metà azzurri. Gli tocca la gallina che ha in testa, poi il pesce, chiede se sono veri. Poi Patch le chiede un desiderio, lei vuole vederci ballare. È un attimo.

Spunta una chitarrina, un finto microfono. La mamma con il velo e il giovane papà, al nostro arrivo davvero seri, scoppiano in una fragorosa risata. Trenta secondi dopo, stiamo ballando tutti, anche Amira, in piedi sul letto. Dalla fessura della porta si intravedono occhi curiosi che si chiedono cosa stia succedendo, qui dentro. A quel punto Patch lascia la stanza, ma il concerto continua.

Naso rosso per il direttore
Di nuovo in corsia, ecco arrivare il direttore dell?ospedale. Con il naso rosso. Ringrazia Patch, «la miglior medicina possibile». Lui sorride, e dopo qualche metro a braccetto con una ragazzina con la flebo, raggiunge un?altra stanza. Poi un?altra ancora. C?è l?adolescente che, appena lo vede, non riesce a smettere di ridere, nonostante si possa a malapena muovere nel letto. C?è quello che parla un po? inglese a cui Patch chiede i segreti amorosi, «tanto la mamma non capisce». C?è Oscar, che ha lo stomaco in tilt: al suo capezzale si ?vomita? tutti, clown, parenti, infermieri. «Buttiamo fuori tutti i mali del mondo, la guerra, la povertà, i governi fannulloni», urla Patch in un tripudio di risate.

Vola così un?ora, è già tempo di saluti, in quel reparto che si è trasformato in un bazar del buonumore. «È grazie a voi tutti», sussurra commosso Patch, prima di uscire ancora dal retro, in punta di piedi. Sull?ascensore, ci guarda. «Bel lavoro, clowns», dice.

Un attimo dopo, le porte si aprono, in strada lo aspettano in tanti. Un ultimo sguardo intenso, un saluto con gli occhi. «Alla prossima, Patch. E grazie».


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