Politica

La colpa degli zingari

Emergenze.I continui allarmi celano un bisogno di socialità.Che nessuno osa ammettere.

di Daniela Verlicchi

Quel che si dice una «verità seppellita». Sotto la retorica quotidiana dei giornali, i duelli televisivi, la paura irrazionale. Quella contenuta nell?editoriale di Vita dello scorso numero, firmato da Riccardo Bonacina, è una piccola grande realtà che molti conoscono ma pochi raccontano. Appena uscito il giornale, in redazione sono iniziate ad arrivare decine di riscontri alla tesi dell?editoriale «i rom fanno paura in quanto rom e questa fobia del diverso, usata come clava ideologica dai media, deriva dal bisogno di relazioni profonde della nostra società».

«Quando leggo certe pagine del Giornale mi sembra di sentir parlare i politici della Lega», reagisce Nazzareno Guarnieri, rom e neopresidente della Federazione nazionale Rom e Sinti insieme. Per lui, il legame tra la politica e una parte (almeno) dei media è evidente. E rincara la dose: «In questi mesi non ho mai visto né letto un confronto serio (sulle politiche) tra rom e italiani. Al massimo qualche sprazzo di folklore: ad una ragazza della federazione invitata in una trasmissione tv hanno chiesto di indossare la gonna lunga e orecchini vistosi. Ma che tipo di informazione è questa?». Che spesso si discuta sulla testa dei rom senza nemmeno interpellarli è piuttosto evidente, sia in tv che nei giornali. E lo dimostra anche un recente appello ai giornalisti per la correttezza dell?informazione sui rom che sta circolando in questi giorni sul web.

Ma per Gregorio Arena, già presidente di Cittadinanzattiva, non si può parlare di una strategia anti rom: «Nelle redazioni scattano meccanismi di identificazione delle notizie che portano a risultati di questo genere. D?altra parte, la paura è di casa anche nelle redazioni». Il tema vero, secondo lui, è un altro e ha a che fare con la «tragedia dei beni comuni»: «Valori di tutti, che chiunque può distruggere, togliendoli ad altri». È quel che è successo nella rivolta di Ponticelli: il bene comune, in quel caso, era l?integrazione sociale e le fiamme appiccate dagli italiani al campo rom lo hanno corroso. «Mi spiace per i rom, ovviamente, ma mi spiace soprattutto per gli italiani che hanno visto diminuire il capitale di fiducia nei rapporti sociali (soprattutto nei confronti degli stranieri), a causa dell?azione di un piccolo gruppo razzista», commenta Arena. E si ritorna all?editoriale, e a don Virginio Colmegna che dice che «la domanda di sicurezza nasconde, in realtà, una grande domanda di socialità». Quella, esplicita Arena, «che impedisce di instaurare relazioni di fiducia e di lasciare aperte le porte di casa». Ponticelli fa ancora da esempio: «Al campo non c?è un problema di sicurezza», sostiene Marco Nieli, presidente dell?Opera nomadi di Napoli. «Le forze dell?ordine hanno rilevato un solo caso di ricettazione e qualche obbligo di firma in Questura violato. L?emergenza è di tipo ?umanitario?: la baraccopoli pone problemi di relazione con l?ambiente e di degrado».

La soluzione? «Ricostruire le relazioni nella quotidianità della vita civile: dal dire ?buongiorno? quando si entra in un negozio e dalla buona educazione sui mezzi pubblici», propone Arena. Tra italiani, tanto per iniziare. E poi spiegare chi sono i rom, per incontrarli realmente (non solo tramite gli stereotipi). Ma per far questo ci vogliono investimenti, non solo da parte del privato sociale. Come sostiene anche Milena Magnani, autrice di Il circo capovolto: «Nessuno ha mai scritto quello che dite voi, perché significherebbe ammettere la necessità di politiche d?intercultura, un costo che le amministrazioni pubbliche non vogliono affrontare».


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