Famiglia

Aborto, abbassare il limite: due medici a confronto

Silvio Viale e Guido Moro rispondono alle nostre domande

di Sara De Carli

Ha senso, da un punto di vista strettamente medico, fissare un limite per le interruzioni terapeutiche di gravidanza più basso rispetto alle 24 settimane che oggi – nella prassi, visto che nella legge 194 non è indicato nessun termine – vigono? Lo abbiamo chiesto a due esperti: un neonatologo e un ginecologo.

1/La legge dice di rianimare sempre, ma in realtà…
Guido Moro è primario di neonatologia alla Macedonio Melloni di Milano. Di bambini che nascono molto prematuri, tra le 22 e le 25 settimane, ne vede 5/6 casi l?anno, su 2.600 parti. Non moltissimi, ma abbastanza per appassionarsi del tema. Dire 22/25 settimane vuol dire parlare di bambini nati davvero molto presto: tenuto conto che una gravidanza normale di settimane ne dura 40, questi piccoli hanno passato nella pancia della loro mamma poco più della metà del tempo previsto. Eppure oggi riescono a sopravvivere. È il lavoro dei neonatologi, balzato alla ribalta delle cronache nazionali da un lato per il documento approvato da una commissione ad hoc del ministro Turco, dall?altro perché se a 23 settimane un bambino è sempre più spesso in grado di sopravvivere, si apre un drammatico problema: che fare se quel bambino è nato vivo ma al termine di un intervento di aborto?

Che fare, professore?
Il neonatologo è direttamente coinvolto. Da un punto di vista professionale non bisogna stare a vedere le motivazioni personali, ma solo quelle scientifiche. Come medici dobbiamo salvare la vita, indipendentemente da tutto, dall?età gestazionale, dal peso, dalle possibilità di handicap. Se c?è un neonato che dà segni di vita – e intendo un cuoricino che batte, qualche movimento degli arti, qualche sforzo respiratorio ? non ho dubbi, si deve rianimare.

Cosa ne pensa, da medico, del dibattito che vuole abbassare il limite dell?aborto terapuetico?
Le 24 settimane attuali sopra cui per prassi non bisognerebbe intervenire in realtà non tiene conto dei progressi medici-scientifici. Cito il Giappone, un paese che aveva la nostra stessa soglia di 24 settimane: quattro o cinque anni fa la soglia è stata abbassata da 24 a 22 settimane, perché hanno visto che, intevenendo, dal 12 al 25% dei neonati tra le 22 e le 24 settimane sopravvivono.

E le stastistiche italiane cosa dicono?
Dati italiani non ne abbiamo, dati così significativi li hanno solo in Giappone. È anche vero che noi non li abbiamo mai replicati. La Società italiana di neonatologia e la società italiana di medicina perinatale stanno facendo un?indagine, che sarà pronta entro un anno. Cominciamo però a chiarire due concetti: se la possibilità di sopravvivenza è bassissima non ha importanza, è sempre una possibilità. Altro discorso è se la sopravvivenza è anddotica o episodica, perché quello non fa scienza. In Giappone il 10% dei neonati nati a 22 settimane si salvano: questo è un dato scientifico e quindi io un bambino nato di 22 settimane lo rianimo. Questo è il mio atteggiamento e quello della maggior parte dei neonatologi.

Quando lei ritiene che un noenato così piccolo si possa salavre?
Sotto le 22 si contano 2-3 casi in tutto il mondo, le possibilità di sopravvivenza sono zero. A 22 settimane il Giappone dimostra che si può cominciare a fare qualcosa. Ma ricordiamoci che l?età gestazionale non è mai così certa, l?accuratezza è di più o meno tre giorni. Nel dubbio, cosa fai? E poi sono casi che succedono all?improvviso, non hai tempo di ragionarci, di valutare l?età gestazionale esatta, di parlare con i genitori? Nel momento in cui nasce, rianimi e basta. Dopo che è stato trasferito in terapia intensiva cominci a ragionare, valuti tutte le condizioni e decidi come proseguire con le terapie.

Quanti sono i bambini che nascono vivi da un aborto?
È chiaro che nella maggior parte dei casi nascono morti, perché l?intevento che fai è traumatico e fa intenzionalmente nascere morti i feti. Quindi sono davvero pochissimi quelli che nonostante l?intervento del medico nascono vivi. Numeri? Non ci sono, anche perché non si sa quello che succede realmente e come vengono registrati questi casi. La stampa riporta quei pochi casi che vengono dichiarati, ma molto spesso questi non vengono dichiarati.

E che succede?
Quando il feto nasce vivo, conoscendo qual è il desiderio della mamma, nella maggior parte dei casi nessuno fa nulla.

Ma non è in contrasto con la legge?
Certo, però deve anche valutare che la mamma era venuta lì per abortire. Cosa fai? Provochi un trauma alla mamma, al papà, tutto qunto? È una questione difficile, molto delicata. Quei genitori i bambini non lo volgiono. Di solito la pratica è non fare nulla?

Che soluzione vede?
Fare un aborto a 24 settimane è una cosa assurda. Questi casi ci sono perché la legge consente di fare Itg così avanti. Se la legge abbassasse il limite a 22, non dovrebbe più succedere. Però in ogni caso si pone il problema di come interventire sul neonato: anche se per me dobbiamo rianimare sempre, salvaguardare la vita, senza porci un discorso di qualità di sopravvivenza.

2/Abbassare il limite spaventerebbe le mamme
Silvio Viale è un ginecologo. Lavora presso l’Ospedale S. Anna di Torino. Il suo curriculum mischia medicina e politica. È consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni e padre della sperimentazione della pillola abortiva Ru486, quella che a febbraio dovrebbe arrivare anche in Italia.

Fissare un limite inferiore per le Itg: scientificamente ha senso? Quando un feto ha possibilità di sopravvivenza?
In realtà non si tratta di abbassare il limite, ma di capire cosa si intende per ?possibilità di vita autonoma?, la cui definizione ha inevitabili implicazioni su se e come assistere i neonati estremamente prematuri. In effetti è difficile vedere una differenza tra le 22 settimane + 3 gg, sbandierate da Formigoni, e le 22 settimane + 6 giorni che abbiamo adottato al S. Anna di Torino. Il punto a mio parere non è solo la possibilità di sopravvivenza, ma con quali mezzi la si ottiene e quale prezzo di gravi handicap cerebrali.

Se a Torino fate già così, perché non scriverlo nero su bianco?
Abbassare troppo il limite induce solo a prendere decisioni più affrettate (?decida entro?, diremmo alle future madri) e costringe ad anticipare gli esami per la diagnosi prenatale. Senza contare che le diagnosi di gravi malformazioni continueranno sempre ad essere fatte anche dopo le 23 settimane e non si può costringere la donna, e la coppia, a portare comunque avanti la gravidanza. Io credo che un registro nazionale sia necessario per valutare la mortalità e la qualità della sopravvivenza, ma anche per garantire le risorse per assistere i casi più gravi.

Quanti aborti avvengono all?anno in un?epoca in cui c?è possibilità di sopravvivenza del feto, diciamo dopo le 23 settimane?
Sono poche decine e sono sempre casi particolari. A volte sono diagnosi di malformazioni sbagliate, dubbie o fatte in ritardo. Altre volte gravi patologie materne o della gravidanza. Bisogna avere un atteggiamento laico e non fideistico: quando la malformazione è non vitale, come nell?agenesia renale, o grave, come il feto anencefalo, è crudele costringere la donna a portare la grvidanza a termine o a sperare che il feto muoia in utero. Le faccio anche un altro esempio: a volte il liquido amniotico si riduce o scompare prima delle 22 settimane. La cosa ha possibilità di peggioramento o di miglioramento: ma se io se non tengo aperta la possibilità di interrompere la gravidanza più avanti, in caso le cose peggiorino, è probabile che la donna chieda di abortire subito, entro le 23 settimane, piuttosto aspettare e sperare in un miglioramento, comunque possibile.

Che fa l?equipe medica nel momento in cui l?itg dà per esito un feto nato vivo? Lo rianima sempre o ci sono casi in cui visto che la volontà dei genitori era quella di abortire lo si lascia morire?
Che il feto dia segni di vitalità non vuol dire che il feto potrebbe sopravvivere. È lo stesso ragionamento che si fa per i trapianti: il cuore batte, ma la persona è dichiarata morta. Per facilitare il travaglio abortivo e ridurre i rischi di complicazioni si può sopprimere l?attività cardiaca prima di indurre l?aborto, ma questo in Italia si fa poco. Comunque, se il feto fosse vivo, si fa esattamente quello che si fa per gli aborti spontanei, decidendo di non intubare quando non c?è possibilità di vita autonoma, ma si tratta di casi sporadici. Se il feto è vivo, non lo si sopprime di certo. Personalmente mi è capitato una volta sola: per una serie di coincidenze irripetibili, compresa una datazione sbagliata, in una ITG eseguita per motivi di salute materni e con feto non malformato, il feto è nato vivo. Fui io a portarlo al nido e a darle il nome provvisorio, Anna, come S. Anna. La madre non la riconobbe e fu data in adozione. Comunque, con qualunque limite, l?errore è sempre in agguato.

Spulciando i dati delle relazioni sulla 194, si vede che questi aborti aumentano: c?è un nesso con l?evoluzione di tecniche diagnostiche che rilevano malformazioni?
Gli aborti del secondo trimestre in dieci anni sono passati dall?1,7% al 2,7% del totale. In Sardegna sono il 5,2%, proprio in relazione alla prevalenza di talassemia. Tutte le donne fanno le ecografie, soprattutto la cosiddetta ?morfologica?, per sapere. Oltre il 90%, quando può, fa i test di screening per le cromosopatie. Sono in aumento test sui villi coriali e le amniocentesi. Man mano che l?epoca gestazionale sale, aumentano gli aborti per malformazioni, che comunque sono pochi in assoluto. Dal 1997 al 2005 si è passati da 917 a 1384 aborti tra 16 e 20 settimane e da 637 a 894 aborti dopo le 21 settimane. Il 99%, per non dire tutti, coloro che hanno una diagnosi di Down in mano abortiscono, indipendentemente da quello che pensassero il giorno prima.

Lei ha qualche dato del 2006 su aborti fatti post 12a settimana e post 21a settimana?
No, ma direi che sono analoghi a quelli del 2005. Il trend è di un plateau tendente al basso per gli aborti fino a 90 giorni e di un lieve incremento per quelli dopo i 90 giorni. Il vero rischio, però, è quello di non trovare più medici disposti a fare gli aborti, perchè nessuno è obbligato, tant?è che già adesso in molti ospedali si è abbassato il limite a 20 settimane. Anche in Lombardia, dove Formigoni in questi ospedali lo ha paradossalmente elevato a 23 settimane + 3 giorni. I non obiettori sono sempre più stanchi di essere al centro di polemiche e di correre rischi professionali senza alcuna gratificazione economica e professionale. Non temo di toccare questo tasto, che potrebbe sembrare indelicato, perchè non è possibile considerare i medici che fanno aborti a metà tra volontariato e marginalizzazione. Lo Stato dovrebbe tutelare chi permette l?applicazione della legge.


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