Politica

Stati vegetativi: «bussate sempre prima di entrare»

Inaugurato oggi a Milano un nuovo nucleo ad hoc presso l'Istituto Palazzolo-Don Gnocchi

di Sara De Carli

«Bussate sempre prima di entrare, anche se non sapete se il paziente vi può sentire»: è questa l’indicazione che Adriano Pessina, direttore del Centro Bioetica dell’Università Cattolica ha lasciato questa mattina agli operatori del nuovo nucleo dedicato alle persone in stato vegetativo permanente dell’Istituto Palazzolo-don Gnocchi, a Milano.

Si tratta di una unità di accoglienza ad hoc, di 19 posti letto, aperta dalla Fondazione Don Carlo Gnocchi all’interno della struttura del Palazzolo. Un percorso avviato dalla don Gnocchi nel 2002, con l’accoglienza della prima persona in stato vegetativo all’interno della RSA: in questi anni sono stati accolti 26 pazienti, fino ad arrivare a una unità ad hoc.

Un nucleo progettato con grande attenzione ai particolari, pensando alle necessità delle persone che lo abiteranno, alle loro fragilità e a come migliorare una qualità di vita che molti non considerano vita.
Le camere, tre singole e otto doppie, sono attrezzate con solleva-persone a binari e dotate di sistema di illuminazione che permette di variare l?intensità luminosa durante le ore della giornata. Il nucleo è dotato di palestra per la fisioterapia, vasca idroterapica utilizzata per facilitare la mobilizzazione passiva del paziente in acqua e il suo rilassamento, locali-soggiorno per i familiari, spazi comuni e un ampio terrazzo. I lavori sono stati realizzati grazie al contributo della Banca Popolare di Milano. Una curiosità: nell’equipe del nucleo (in pianta stabile un medico responsabile, una caposala, tre infermieri professionali, 12 tra Asa e Oss, un assistente sociale, più altri collaboratori) sno presenti ben nove diverse nazionalità.

All’inaugurazione era presente anche Alessandra Peverini, moglie di Ciro, il primo paziente accolto alla don Gnocchi: in una testimoninaza commovente ha ricordato l’angoscia di sei anni fa, quando suo marito, a 42 anni, in seguito a un arresto cardiaco finì in stato vegetativo: «Passai in pochi minuti dalla normalità all’angoscia di averlo perso, alla gioia di saperlo ancora vivo. Il desiderio più grande era che lo dimettessero dalla terapia intensiva, ma quando ci comunicarono che si era stabilizzato mi chiesi con angoscia dove avremmo trovato per lui un’assistenza adeguata. Incominciò la ricerca di una struttura e ci fu subito chiaro che la risposta a questo bisogno era insufficiente. Ringrazio la don Gnocchi per non avermi lasciata sola e avermi dato un sollievo concreto in quel momento di disperazione. C’è una sola parola per descrivere le persone di questo reparto: amore. Per me il modo in cui Ciro è stato accolto e curato in questi anni sono la prova che nella tanto bistrattata malasanità italiana esistono isole di grande valore, dove il progresso tecnico e scientifico è supportato e umanizzato da un profondo senso di carità cristiana».

L’inaugurazione del reparto è stato anche l’occasione per un importante convegno su “Il valore della vita”, cui hanno partecipato Laura Palazzani, docente di filosofia del diritto alla LUMSA, Adriano Pessina, direttore del centro di bioetica della Cattolica e Roberto Mordaci, professore di filosofia morale all’Università Vita Salute del San Raffaele. «Dal punto di vista economico questo investimento non ha senso e dal pòunto di vista medico va contro lo spirito del tempo», ha detto Mordaci. «Questa è una scelta coraggiosa, dal valore politico e di testimonianza, perché dice che il senso della medicina è il prendersi cura, nel riconosicmento della dignità residua di ogni persona».
Pessina ha voluto invece lasciare agli operatori dell’unità per gli stati vegetativi tre minima moralia, presi in prestito da un palliatvista americano: prima di entrare nella stanza del paziente, bussate sempre alla porta; dite sempre chi siete e perché siete lì; quando compiete una manovra sul corpo del paziente, dite sempre perché la state facendo, usando parole che – se fossero comprese – non suscitino angoscia. «Non sappiamo se questi consigli servono ai pazienti», ha detto Pessina. «Certo servono a noi, per ricordarci che abbiamo davanti una persona a cui dobbiamo innanzitutto rispetto».

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