Salute

Franco Basaglia. Una mente senza schemi

A 30 anni dalla legge 180. Il 13 maggio 1978 venne approvata la riforma che portava alla chiusura dei manicomi. Intervista a Franco Rotelli.

di Sara De Carli

Tra la malattia e il malato, senza dubbio mi interessa di piú il malato.
Franco Basaglia

Trent?anni fa lei condivise con Franco Basaglia la lunga battaglia che generò la legge 180 e il cambio radicale della politica sanitaria in materia di malattia mentale. Oggi lei presidia il luogo simbolo di quella battaglia, l?Azienda sanitaria di Trieste. Qual è il suo ricordo di quegli anni?
Franco Rotelli: Non sono affatto rinchiuso nella dimensione del ricordo: in tutti questi 30 anni abbiamo continuato a lavorare sulle stesse questioni e nelle contraddizioni poste dalle stesse questioni. C?è stata una fase di dibattito molto feroce attorno a quella legge, si è dovuto dimostrare in concreto che era possibile realizzare i princìpi e la strumentazione organizzativa prevista da quella legge. Almeno in alcuni luoghi è stato possibile farlo, e questo ha fatto scontrare con la realtà chi, per togliere di mezzo la legge, la diceva inattuabile.
Vita: Quali furono quei luoghi?
Rotelli: Trieste, Arezzo, le altre città del Friuli Venezia Giulia e poi, gradualmente, la Toscana e l?Umbria. Ci volle poco a capire che il problema non era la legge, ma la difficoltà italiana di applicare le leggi. Per questo bastarono pochi posti, per partire: le conquiste culturali della 180 erano irreversibili, la gente aveva già introiettato la condanna culturale del manicomio, si trattava di dimostrare che non era un?utopia. Guardandomi indietro, al di là delle critiche ad alcune inadempienze fortissime che ancora persistono, devo dire che il cammino è stato enorme. Negli anni 60 nei manicomi c?erano 80/90mila internati!
Vita: Come giudica l?attenzione culturale odierna su questo tema?
Rotelli: Continua ad esserci un buon interesse. Nelle settimane scorse a Trieste è passata una delegazione del Canton Ticino che vuole creare un sistema come questo, fare una legge; una della Corea del Sud e una della Norvegia. Continuiamo ad essere un punto di riferimento in tutto il mondo, perché questo purtroppo è un problema attuale in tutto il mondo: tutti cercano modelli legislativi, applicativi, forme organizzative per le istituzioni e i servizi.
Vita: L?Italia è ancora all?avanguardia o ci sono Paesi che oggi potremmo persino copiare?
Rotelli: Ci sono buone cose in Australia, in Quebec, in alcune aree della Gran Bretagna e della Spagna, in alcune grandi città del Nord Europa. Si tratta di Paesi con modelli sanitari molto avanzati: la psichiatria ha goduto di questa generale intelligenza organizzativa della sanità pubblica. Poi ci sono esperienze cariche di energia in Brasile e India. Il Brasile in questo momento è il Paese più positivo: ci conferma la necessità di un grande investimento affettivo su queste questioni, per poterle affrontare davvero. Lo sapevamo già, ma ce lo ricorda. Senza una carica affettiva forte, un investimento di cultura collettiva, di disponibilità collettiva al ripensamento, non si cambia nulla.
Vita: Ha parlato di cultura sanitaria avanzata: l?approccio da imitare dunque è sanitario?
Rotelli: Non esistono politiche sanitarie avanzate che non siano socio-sanitarie. Non si può fare una politica sanitaria seria se non si affrontano contestualmente problemi tradizionalmente indicati come sociali. Per me è tautologico.
Vita: In Italia come siamo messi?
Rotelli: Dipende da regione a regione. Ho forti dubbi sulla Lombardia, che si sta attardando su grandi concentrazioni di posti letto, pubblici o privati che siano, numeri elevati, istituzioni abbastanza totalizzanti, seppur con varie denominazioni, e con un ruolo dominante del privato. Entrambe le cose non mi lasciano intravedere nulla di buono.
Vita: Denunce di contenzione, solitudine delle famiglie, massiccio ricorso agli psicofarmaci, ospedali psichiatrici giudiziari: questi mi sembrano i grossi nodi da affrontare. Quali sono le priorità?
Rotelli: Le questioni più scandalose sono quelle che dice lei, e mi sembra saggio partire dal peggio. Per quanto riguarda gli opg, finalmente con la Finanziaria 2008 abbiamo ottenuto qualche segnale di risveglio: il governo ha messo un emendamento all?ultimo momento che dà un finanziamento ad hoc per il riordino della medicina penitenziaria previsto dal dlg 230/99 e facilitare i rapporti fra opg e dipartimenti di salute mentale. Apparentemente è una cosa piccola, in realtà è la prima volta in trent?anni che si dice con chiarezza che le Asl, in particolare i dipartimenti di salute mentale, devono farsi carico dei propri pazienti. Sono 60 milioni di euro per varie voci, i quattrini alla fine non saranno molti, però il segnale è importante. Noi come Asl di Trieste abbiamo appena arruolato alcune persone che a livello nazionale dovranno svolgere questo lavoro: la Sardegna e l?Abruzzo ci hanno già incaricato di aiutarli a realizzare questo percorso. Sono ottimista.
Vita: Il secondo problema è la contenzione, per cui tornano le denunce…
Rotelli: Bisognerà creare una situazione di denuncia pubblica molto più forte, perché quello della contenzione ormai è tornato un fenomeno generalizzato, che non è assolutamente legato ad emergenze: ho prove che si tratti di una logica programmata, sistematica e sistematizzata. Penso che questi due temi nei prossimi mesi o pochi anni potranno essere aggrediti in modo forte e utile. L?abuso degli psicofarmaci invece è un tema complicato e di più difficile aggressione, perché rimanda a una mole enorme di questioni di carattere economico, sociale, culturale, etico? A meccanismi di devastazione sociale su cui è difficile che noi tecnici si possa fare molto.
Vita: Chiede maggiore forza di denuncia: vuol dire che ci manca una società civile più attenta?
Rotelli: Manca l?organizzazione delle ?soste del bene?. C?è molta gente che trova tutto questo scandaloso, ma devono darsi una forma organizzativa per essere più incisivi e farsi sentire di più. Esiste un Forum salute mentale che ha fatto molte cose, però occorre che le campagne culturali vengano rafforzate, insieme all?azione delle associazioni di famigliari. Serve un?organizzazione più compatta e incisiva di tutte le forze in campo. Credo sia possibile.
Vita: Quindi ci manca un Basaglia, un trascinatore?
Rotelli: No, non è quello il problema. Manca solo un po? di organizzazione. Qualcosa è già stato fatto, le ripeto: non è che i risultati di questa Finanziaria siano nati sotto i cavoli? Si tratta di mobilitare la gente a scandalizzarsi e di arrivare ai mass media.
Vita: Recentemente ci sono stati artisti come Cristicchi e Celestini che hanno affrontato il tema della malattia mentale: è un contributo positivo?
Rotelli: Sono sempre stati utilissimi. Basaglia è stato il primo ad usare gli artisti a grandi mani. Penso a Dario Fo e alla fotografa Carla Cerati: fu grazie a loro che Basaglia riuscì a dare risonanza alla propria voce. Certo allora c?era un?evidenza maggiore, i manicomi, e quindi la denuncia acuta poteva essere più facile. Oggi i problemi sono più mimetizzati, è più difficile suscitare emozioni in chi non conosce questo problema da vicino.
Vita: Nell?aggettivo ?basagliano? oggi cosa c?è dentro?
Rotelli: Oddio. Innanzitutto io trovo inutile autoproclamarsi basagliani: ognuno faccia se stesso e dica cosa fa. Non lo facciamo noi, che ci abbiamo lavorato insieme: io con Franco ci ho lavorato dieci anni, dal 1970 al 1980, e non sono mai andato in giro a dire che sono basagliano. Cosa c?è dentro poi, ognuno può deciderlo. Basaglia ha lasciato molti testi scritti, le sue esperienze sono state ampiamente documentate? Certo la lezione basagliana è una lezione molto complessa, che ha toccato molte questioni anche al di là della psichiatria. Credo che la cosa peggiore sarebbe rinchiudere Basaglia dentro la legge sulla psichiatria che porta il suo nome o nella chiusura dei manicomi. La sua lezione aveva ben altre ambizioni.
Vita: Me ne indica due?
Rotelli: La lezione di Basaglia è che nulla è riducibile a due. Niente è riducibile a uno slogan, la complessità delle questioni va vista come tale. La semplificazione è stata una delle ragioni che hanno portato a costruire i manicomi. Semplificare i termini della questione follia e normalità è fare violenza alla realtà, semplificare il rapporto tra malattia e salute è fare violenza ad entrambe. Il cuore della lezione basagliana è non trasformare in antinomie i poli delle contraddizioni: siamo tutti un po? sani e siamo tutti un po? matti. E viviamo.
Vita: Questa affermazione apre il campo al fatto che non c?è solo la malattia mentale in senso stretto, ma tutto il tema della salute mentale. Di cui è difficile tracciare i confini?
Rotelli: Infatti, e spero che nessuno pretenda di farlo. Sarebbe fuori di testa. Si tratta di capire come aggredire alcune questioni. Per esempio, questa intervista nasce a margine di un convegno che si è svolto a Milano sulla città e la sofferenza urbana. Sì, d?accordo, interroghiamoci sulla sofferenza urbana o sulla sofferenza umana, però come psichiatra mi sembra più utile concentrare l?attenzione su ciò su cui possiamo giocare un ruolo. Anzi su ciò che sta già giocando un ruolo, cioè sui servizi. Come tecnico voglio capire come agisce su questa sofferenza urbana il sistema dei servizi: perché i servizi ci sono, anche dove sembra che non ci siano, di quattrini spesi per i servizi ce n?è una quantità industriale. Il nostro dovere di tecnici è interrogarci su come vengono spesi questi quattrini pubblici, capire la qualità delle risposte offerte dalle istituzioni. La domanda è: i servizi riducono la sofferenza urbana o la incrementano?
Vita: Lei ha definito la salute mentale come l?esercizio della vacuità e dell?insignificante?
Rotelli: Ci sono molti modi per evitare le questioni, per non parlare di nulla: stare nel vacuo è un buon modo per evitare un eccesso di ansia e di inquietudine. Lo facciamo tutti e facciamo bene a farlo.
Vita: Lo psicanalista Giorgio Antonucci però dice: «Non si può pensare che il manicomio fa schifo e lasciare intatto il sistema che l?ha prodotto». La psichiatria è cambiata in questi 30 anni?
Rotelli: Credo di sì, tutto sommato, e poi non mi piacciono questi massimalismi. Non è che non ci si deve occupare della tortura perché c?è a monte tutto un sistema che la determina. Io non ci sto a dire che bisogna rimuovere le cause e degli effetti chissenefrega: faccio il ragionamento contrario. Cominciamo a rimuovere i guai che ci circondano, anche perché così facendo forse riusciremo a individuare meglio le cause.
Vita: Il ministro Turco ha messo la salute mentale tra le sue prime dieci priorità e ha promesso una Conferenza nazionale nella primavera del 2008 e un nuovo Piano obiettivo entro giugno. Che giudizio dà finora?
Rotelli: Non so cosa possiamo aspettarci. Mi sembra già tanto se ci tengono lontano dai guai. Questo governo per lo meno ci sta tenendo lontano dalle privatizzazioni selvagge in sanità, e da sconquassi legislativi. Per ora mi accontento. Quanto alla Conferenza nazionale, non credo possa uscirne gran che.
Vita: Ci regala un ricordo suo con Basaglia?
Rotelli: Litigavamo sempre. Quando l?ho conosciuto avevo 28 anni e allora andava così, si discuteva in modo animato sempre e su tutto.

Chi è

Franco Rotelli ha lavorato con Basaglia dal 1970 al 1980 ed ha poi diretto i servizi psichiatrici di Trieste. È stato consulente dell?Oms in Brasile, Argentina, Repubblica Dominicana e responsabile di progetti di cooperazione per Cuba, Grecia, Slovenia, Argentina. Tra i suoi testi Per la normalità. Taccuino di uno psichiatra, pubblicato nel 1999 da Asterios. Ha collaborato al numero di Communitas (n. 12/2006) Le apocalissi della mente. Il racconto del dolore e la cittadinanza terapeutica.

Franco e consorte, una coppia di liberatori

Franco Basaglia era nato a Venezia nel 1924. Dopo la laurea in Medicina a Padova, si era specializzato in malattie nervose e mentali. Nel 1953 aveva sposato Franca Ongaro, che gli sarebbe stata a fianco anche a livello professionale nella grande battaglia per la chiusura dei manicomi. Dopo aver rinunciato alla carriera universitaria, prese la direzione dell?ospedale psichiatrico di Gorizia e poi del San Giovanni di Trieste, che venne chiuso a fine 1977. Il 13 maggio 1978 venne varata la riforma psichiatrica che porta il suo nome.


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