Famiglia

Familiare stressato e pillola facile: un allarme fondato?

Sarebbero 23mila l’anno i morti tra i 100mila malati di Alzheimer inglesi a cui vengono somministrati antipsicotici dai familiari per «tenerli buoni». Queste le cifre shock diffuse in Gran Bretagna

di Chiara Sirna

Sarebbero 23mila l?anno i morti tra i 100mila malati di Alzheimer inglesi a cui vengono somministrati antipsicotici dai familiari per «tenerli buoni». Queste le cifre shock diffuse in Gran Bretagna da un recente studio condotto al King?s College London. Una vera e propria emergenza, quella delle persone affette da demenza cui vengono somministrati medicinali off label, cioè non propriamente indicati per l?Azheimer, ma normalmente utilizzati per alleviare disturbi comportamentali quali deliri, allucinazioni, aggressività, agitazione e insonnia. Medicinali-killer: secondo il King?s College, l?incidenza del livello di mortalità è quasi triplicata tra i malati trattati con antipsicotici rispetto a quelli trattati con placebo.

In Italia qual è la situazione? Anche se non ci sono dati sulla reale diffusione dell?utilizzo di antipsicotici in pazienti affetti da demenza, l?Agenzia italiana per il farmaco ha fissato paletti severi, precisando che solo le unità specializzate sono autorizzate alla prescrizione di antipsicotici e che il trattamento è possibile solo dopo aver ottenuto il consenso informato del paziente. Dopodiché scatta l?obbligo di stretta osservazione medica, ogni due mesi, dei risultati ottenuti.

Di fatto, però, l?uso di antipsicotici per la cura di malati di Alzheimer non è mai stato messo al bando. Risultato: i medici non sanno fin dove osare, le famiglie cercano di districarsi tra rischi e deliri degli ammalati. «È una questione di buon senso», spiega Niccolò Viti, responsabile del nucleo Alzheimer Arcobaleno della Fondazione Don Gnocchi. «Parte dei rischi sono contenibili con l?impiego di questi farmaci con un dosaggio ridotto e solo dopo aver fatto le opportune verifiche, quindi su quei pazienti che non soffrano di problemi cardio-vascolari». Ma soprattutto, continua, «servirebbero linee guida chiare e condivise per le misure da adottare nei disturbi comportamentali dei malati di Alzheimer».

Quelle dettate dall?Aifa, invece, creano non pochi problemi. Trattandosi infatti di soggetti affetti da demenza, ottenere il loro consenso non è sempre facile. «Soprattutto, non si elimina il problema alla radice», spiega Viti. «Sfido chiunque a vivere con malati con disturbi comportamentali gravi», incalza il professore, «cosa facciamo, non li curiamo? E cosa rispondiamo a un familiare disperato?» «Il dovere del medico», conclude, «è cercare una cura appropriata che non danneggi il malato, ma che possa anche aiutare i familiari esasperati».

Le associazioni, italiane e internazionali, si schierano da tempo a favore di un uso «moderato» degli antipsicotici, e solo come extrema ratio. La presidente della Federazione Alzheimer Italia, Gabriella Salvini Porro, concorda: «La speranza è che ci sia un monitoraggio dei risultati ottenuti con in farmaci, ma dipende dall?unità di valutazione a cui ci si rivolge. Per le famiglie è difficile districarsi tra chi dice tutto il male possibile dei farmaci e chi invece li difende». La soluzione? «Bisognerebbe capire le cause di un certo comportamento problematico e cercare di risolverle, se possibile», conclude la Salvini Porro. «Questo però richiede più tempo e più attenzione ai bisogni del malato e della sua famiglia, spesso abbandonata a se stessa».

I NUMERI

  • La ricerca.

uno studio inglese ha preso in esame alcuni malati di Alzheimer dividendoli in due gruppi, uno trattato con antipsicotici e uno con placebo: il tasso di sopravvivenza dopo 24 mesi si è fermato al 54% per il primo gruppo (contro il 78% del secondo), dopo 42 mesi si è scesi al 28% (contro il 60% del primo). L?incidenza di mortalità dunque è quasi triplicata nel gruppo di assuntori di antipsicotici.

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