Cultura

La Sapienza che contesta Ratzinger premiò Wojtyla

Ancora proteste per la visita di Benedetto XVI all'ateneo romano. Lo stesso che nel 2003 conferì a Giovanni Paolo II la laurea honoris causa in Giurisprudenza. Allora nessuna polemica. Eppure...

di Gabriella Meroni

Polemiche e contestazioni hanno anticipato la visita, da poco annullata, di Benedetto XVI all’università La Sapienza di Roma. Il papa avrebbe dovuto andarci il prossimo 17 gennaio e prendere la parola dopo l’inaugurazione vera e propria dell’anno accademico; con lui avrebbero dovuto intervenire – e lo faranno in sua assenza – il sindaco di Roma Veltroni e il ministro dell’università Fabio Mussi. Subito dopo l’annuncio dell’invito al papa da parte della Sapienza, ecco le contestazioni: alcuni settori del mondo universitario romano, in particolare un gruppo di docenti (per la precisione 67, pari a meno dell’1,5% del totale del corpo docente) hanno firmato un appello per chiedere che il Pontefice non intervenga; anche alcuni gruppi studenteschi hanno fatto sapere di non gradire la presenza di Ratzinger all’università, e alcuni di loro hanno promosso “La settimana anticlericale” in polemica col papa.

Eppure la stessa università aveva deciso, nel 2003, di conferire a un altro papa, Giovanni Paolo II, la laurea honoris causa in Giurisprudenza. Il 17 maggio, alla vigilia del suo 83esimo compleanno, e in occasione delle celebrazioni per i 700 anni di fondazione della Sapienza, Wojtyla la ricevette con solenne atto accademico nell?aula Paolo VI in Vaticano. Quel 17 maggio, dopo le allocuzioni del rettore dell?Ateneo, Giuseppe D?Ascenzo, e del preside della Facoltà di giurisprudenza, Carlo Angelici, e la Laudatio del professor Pietro Rescigno, ordinario di diritto civile, Giovanni Paolo II pronunciò la sua Lectio magistralis. L?Osservatore Romano del 18 maggio 2003 dedicò ben quattro pagine all?avvenimento, pubblicando integralmente anche tutti i testi dei professori D?Ascenzo, Angelici e Rescigno. Alla cerimonia – dicono le cronache dell’epoca, meno di cinque anni fa – parteciparono numerose autorità civili (come il presidente del Consiglio Berlusconi, quello della Corte costituzionale, Riccardo Chieppa, e il governatore di Bankitalia, Antonio Fazio), ed ecclesiastiche, a cominciare proprio dal cardinale decano Ratzinger.

La decisione della Sapienza venne motivata dal fatto che il Pontefice «ha contribuito e contribuisce all?affermazione universale dei diritti dell?uomo, della giustizia e della pace e nei rapporti tra le persone e i popoli». Nessuno, allora, ebbe niente da ridire.

Non solo, ma nessuna voce si sollevò neppure dopo aver letto la lectio di Giovanni Paolo II; che conteneva alcuni passaggi – specie sulla tutela dell’embrione e il rispetto della vita dal concepimento al tramonto – che probabilmente farebbero venire l’orticaria a molti critici “laici” di questi giorni. Ecco che cosa disse allora, tra le altre cose, Wojtyla: «…ho ritenuto che facesse parte del mio ministero dare largo spazio all’affermazione dei diritti umani, per la stretta connessione che essi hanno con due punti fondamentali della morale cristiana: la dignità della persona e la pace. È Dio infatti che, creando l’uomo a sua immagine e chiamandolo ad essere suo figlio adottivo, gli ha conferito una dignità incomparabile».
E ancora: «Nel corso del mio servizio come Successore di Pietro ho sentito il dovere di insistere con forza su alcuni di questi diritti che, affermati teoricamente, risultano spesso disattesi sia nelle leggi che nei comportamenti concreti. Così, sono ritornato più volte sul primo e più fondamentale diritto umano, che è quello alla vita. Infatti la vita umana è sacra e inviolabile dal suo concepimento al suo naturale tramonto (…) In particolare, ho insistito sul fatto che l’embrione è un individuo umano e, come tale, è titolare dei diritti inviolabili dell’essere umano. La norma giuridica, pertanto, è chiamata a definire lo statuto giuridico dell’embrione quale soggetto di diritti che non possono essere disattesi né dall’ordine morale né da quello giuridico».

Anche qui, nessuno ebbe niente da ridire.


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