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Politica. “Stanchi di dire sempre sì”. L’Udc va a congresso

Salgono le tensioni e le spaccature tra i centristi e il resto della Cdl. Rai, devolution e immigrazione gli oggetti del contendere. Dal 6 all'8 I congresso dell'Udc a Roma

di Ettore Colombo

La guerra interna scoppiata tra Cdl e Udc.

Non siamo ai separati in casa, ma poco ci manca. Il motivo dell’ultima, furiosa litigata domestica è la Rai, con i centristi che vorrebbero un cda nuovo di zecca e il resto dell’alleanza di governo che spinge invece per non dare partita vinta alla sinistra e rimpiazzare semplicemente i membri dimissionari senza far decadere i vertici di viale Mazzini. Ma le difficoltà di rapporti tra l’Udc e il resto della Casa delle libertà sono sempre più visibili, e crescono con il passare del tempo. Già oggi, per la nomina dei nuovi sottosegretari che dovrebbero andare a rimpiazzare quelli che nel frattempo hanno abbandonato l’incarico, potrebbe esserci un nuovo casus belli in Consiglio dei ministri. Tanto che Berlusconi potrebbe aver dato ascolto ai suoi consiglieri che hanno raccomandato di lasciar sedimentare la questione per qualche giorno ancora. In attesa che “il caso cda Rai” si risolva. Il sospetto che ormai serpeggia apertamente in Forza Italia, Alleanza nazionale e Lega Nord, è che i centristi stiano architettando un “ribaltone” ai danni del premier, o quantomeno sgomitino all’interno dell’alleanza per per ottenere più potere e visibilità, anche al costo di indebolire l’azione del governo.
Gli uomini dell’Udc si lamentano di non essere abbastanza rappresentati nell’esecutivo. Non fanno mistero della loro delusione, dicono di essere stanchi di dover solo dire di sì, cercano di farsi strada e di vedere meglio rappresentati i propri principi. I due ministeri che hanno a disposizione, infatti, (i Rapporti con il parlamento affidati a Carlo Giovanardi e le Politiche comunitarie di Rocco Buttiglione) vengono considerati poca cosa rispetto al peso effettivo della coalizione che riunisce Ccd, Cdu e Democrazia europea e che si prepara a celebrare il suo primo congresso nazionale.
Ma questo è solo l’ultimo tassello di un mosaico che si va componendo da mesi, con i primi screzi di una certa entità che risalgono a prima dell’estate. Con i centristi che a un certo punto, quando il premier prolungava il suo interim agli Esteri, hanno chiesto chiaramente un rimpasto, mentre Berlusconi, con l’appoggio di An e soprattutto della Lega, che temeva di perdere qualcuno degli avamposti strategici conquistati (Giustizia e Riforme istituzionali su tutti), è sempre stato molto attento a non mutare equilibri e a non dare il via a una serie di rivendicazioni che avrebbero portato allo stallo il suo governo.
Da quel momento le posizioni hanno iniziato a divaricarsi nettamente, con l’Udc determinato ad assicurarsi più visibilità all’esterno per non rimanere schiacciato dal peso del resto della coalizione. Nasce anche così l’atteggiamento moderato al momento del varo della legge Cirami e più in generale sulla giustizia, la battaglia per modificare la legge sull’immigrazione (firmata da Bossi e Fini) inserendo nel provvedimento una sanatoria non solo per le badanti ma anche per i lavoratori in nero (emendamenti Tabacci, poi trasformati in un ordine del giorno), e infine la spallata al Cda Rai, con le dimissioni del consigliere in quota Udc, Marco Staderini, che hanno seguito a ruota quelle dei consiglieri dell’Ulivo.
La controffensiva del resto della maggioranza non è stata tenera, e a un certo punto è sembrato chiaro che al posto della dialettica stava subentrando l’astio e l’ostruzionismo. Una situazione che è risultata chiara al momento delle due dichiarazioni, una del leader della Lega Umberto Bossi e una del capogruppo alla Camera di An, Ignazio La Russa, contro gli ex democristiani al governo. Parole di fuoco (come anche sul caso Andreotti) che hanno messo in subbuglio l’ala cattolica dell’alleanza di governo, e che hanno contribuito ad approfondire il solco.
Silvio Berlusconi, che ha sempre cercato di tenere ben ferma la barra del timone, di offrirsi come mediatore pur di non far implodere la maggioranza, è sembrato a un certo punto avere poche cartucce a disposizione, se è vero che da più parti si sente ormai ventilare l’ipotesi di elezioni anticipate. Lo ha già fatto Umberto Bossi, ponendo il proprio aut-aut sulla devolution (che ai centristi proprio non piace), ma lo ha fatto lo stesso premier in più occasioni, l’ultima proprio quando è scoppiata la bagarre sugli ex diccì.
Il presidente del Consiglio aveva detto già allora che senza l’Udc si sarebbe andati alle elezioni, ma quella che in un primo momento poteva sembrare una scelta di campo a favore del partito di Casini può essere letta, oggi, da un altro punto di vista. Attenti, nessun ribaltone: se la maggioranza si sfalda l’unica soluzione sono le urne. Una prospettiva che probabilmente, nella maggioranza, non converrebbe a nessuno. All’interno della Cdl è ben chiaro a tutti, infatti, che una nuova verifica elettorale proprio in un momento difficile per l’economia del paese, e per di più in un clima di alta rissosità interna, potrebbe portare gli elettori a sfiduciare l’attuale esecutivo e far rivivere l’incubo del ’94, che sembrava ormai superato per sempre. Berlusconi, nell’ultimo vertice di maggioranza, è stato molto chiaro su questi punti. E l’aver brandito minaccioso gli ultimi sondaggi che attribuiscono buone percentuali alla coalizione e un po’ meno buone ai singoli partiti, suona prioprio come un avvertimento a non rompere l’unità della Casa delle libertà. Con l’unità si vince, senza tutti ne pagherebbero il prezzo. Anche i centristi.

Notizia sul I congresso dell’Udc.
L’Udc è intanto pronta per celebrare il suo primo congresso nazionale. L’assise che sancirà ufficialmente la fusione di Ccd, Cdu e De in un’unica formazione centrista si terrà dal 6 all’8 dicembre alla Fiera di Roma. Durante il Congresso verrà approvato lo statuto e saranno eletti i consiglieri nazionali, il presidente (probabilmente D’Antoni) e il segretario politico (Follini).

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