Sostenibilità

Omeopatia, che male c’è a chiamarla effetto placebo?

Consumers'magazine/ Nulla più di una pastiglia di zucchero. Che a volte può essere una cura efficace, come dimostrano molti studi scientifici

di Redazione

di Giorgio Dobrilla* L’autorevole rivista inglese The Lancet ha dedicato tre articoli all?omeopatia: in due di questi si sottolineano la natura placebica, l?inutilità e i rischi dell?omeopatia. Questa conclusione è in sintonia con le posizioni dell?assoluta maggioranza della comunità scientifica. Se gli omeopati, contrari all?idea che la omeopatia sia solo un placebo, fossero meno disinformati circa il significativo potenziale terapeutico di questo, di certo non si offenderebbero. Placebo, tra l?altro, può essere non solo un farmaco, ma un qualsiasi provvedimento che, pur essendo oggettivamente privo di attività ?specifica? nei confronti della patologia lamentata, risulta capace di influire sui sintomi e/o sulla malattia di un paziente. Per secoli le terapie offerte dalla medicina sono state per la massima parte dei placebo (non di rado ripugnanti) e anche oggi molti farmaci convenzionali e tutte le medicine complementari alternative (Mca) sono sostanzialmente dei placebo. Fiducia-terapia L?effetto placebo medio in una miscellanea di patologie si aggira intorno al 40-50%, ma in alcune malattie un miglioramento placebo-indotto si può registrare nell?80% dei pazienti. Sono influenzabili dal placebo non solo i sintomi e le malattie ritenuti ?psicosomatici?, ma anche affezioni organiche come l?osteoartrosi e l?artrite reumatoide, l?ulcera, l?angiosclerosi e persino alcuni tipi di tumore. Il significativo miglioramento indotto dal placebo è fortemente correlato con la fiducia che il paziente nutre nella cura che gli viene prescritta e in colui che gliela prescrive. ?Sollecitato? da una qualsiasi terapia placebica (farmaco omeopatico incluso), il nostro cervello libera stupefacenti endogeni (le endorfine) e persino morfina, forse anche composti simili alla marijuana, ormoni vari, adrenalina e noradrenalina, come pure mediatori in grado di incentivare la risposta immunitaria. L?operazione ?virtuale? L?ambiente in cui si realizza il rapporto medico paziente può risultare esso stesso un placebo. Non meraviglia dunque che pure l?atto chirurgico, così carico di attese e di emotività, sia un potente placebo. Ed infatti esistono numerosi, ma poco noti, esempi di successo terapeutico di operazioni solo simulate e non attuate. In altre parole, il confidare nell?operazione cui si sta per essere sottoposti risulta talora efficace come e più dell?intervento in sé. L?efficacia della falsa operazione è stata dimostrata in certi interventi di cardiochirurgia (in pazienti con grave insufficienza coronaria), in chirurgia addominale (per aderenze da precedenti operazioni), in neurochirurgia (per morbo di Parkinson), in trattamenti di tipo artroscopico (gonartrosi), in patologia sportiva (tennis elbow). L?efficacia del placebo viene provata anche dalle conseguenze negative di una sua assunzione non regolare. Nei soggetti con cancro e sottoposti a chemioterapia, se queste ?pillole fatte di nulla? sono assunte regolarmente, si registra un?infezione nel 32% dei casi, mentre in quelli che assumono meno dell?80% della dose placebica prevista questa percentuale sale al 64%. I cultori in bona fide dell?omeopatia dovrebbero dunque capire che interpretare i possibili benefici di questa Mca come semplice effetto placebo (e al momento almeno non ci sono prove dirimenti che così non sia) non è affatto ?disonorevole?. *prof. AC di Metodologia clinica facoltà di Medicina – università di Parma primario emerito Gastroenterologia Ospedale regionale, Bolzano


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