Formazione

Questo non è (più) Paese per fatalisti

Editoriale di Giuseppe Frangi

di Giuseppe Frangi

Difficile negare che si sia trattato di uno tsunami. Innanzitutto la semplificazione del quadro politico: da 26 gruppi parlamentari a quattro, praticamente una rivoluzione. Poi, imprevista anche dagli analisti più attenti, la scomparsa della sinistra radicale (comunista e ambientalista), proprio nello stesso momento in cui nasce in Italia un grande partito riformista dopo un?operazione di rinnovamento coraggiosa. Dall?altra parte Berlusconi, come un inossidabile democristiano, alla sua quinta corrida porta a casa la vittoria più netta. Lo scenario è chiaro, e comunque la si pensi, gli spazi di ambiguità sono ridotti. C?è la possibilità di mettere qualche punto fermo, da cui ripartire.

Primo. La telefonata di Veltroni a Berlusconi ha messo fine (si spera) a quella specie di guerra civile che ha avvelenato la politica italiana negli ultimi 15 anni, riducendola a una conventicola rissosa e drammaticamente inadeguata rispetto alle scelte che invece andavano prese. Questa tornata elettorale, grazie all?accelerazione impressa dal leader del Pd, si lascia quel recente passato alle spalle. E, a meno di sorprese, questa è una buona notizia.

Secondo. Nell?era dominata da una prepotenza mediatica, la dimensione del territorio si è presa una sua inattesa rivincita. Inattesa perché nessuno se l?aspettava in queste dimensioni. E perché è andata in una direzione imprevista. La vittoria della Lega non può essere più interpretata come voto di protesta.

È un voto di appartenenza con fisionomia nuova: Marco Revelli, nell?intervista che pubblichiamo, spiega che è il ?proletariato interno? ad aver premiato Bossi. E del resto bastava aprire gli occhi per accorgersene: come documentato dal Corriere della Sera, gli iscritti a Rifondazione a Mirafiori oggi sono nove. Quanti schemi da rivedere… La povertà, che è un fattore che segna in profondità il tessuto sociale di oggi, non genera solo rancore e chiusura ma chiede più che briciole d?assistenza, chiede una prospettiva per il proprio futuro. Per questo un operaio preferisce votare la Lega che la Sinistra Arcobaleno, persino a Bologna e a Pesaro.

Terzo. Nello scenario che si è configurato, con un Berlusconi forte che piace anche ai poteri forti (vedi la conversione del Corriere della Sera e di Montezemolo), la vera area di rischio sono i diritti dei più deboli. Questo è il vero terreno da presidiare con intelligenza e con determinazione: perché la semplificazione della politica non si traduca in un?autostrada per i più forti. È un presidio che ha bisogno di passione e di capacità di visione. Difficile ad esempio pensare alla salvaguardia di questi diritti senza mettere in campo un modello più moderno e più adeguato di welfare. Stefano Zamagni lo ha formulato in modo molto sintetico: dal welfare dell?offerta a quello della domanda. È il welfare che deve avere l?agilità per rispondere ai nuovi bisogni, che lascia al cittadino la possibilità di scegliere, che stimola chi fornisce i servizi a essere migliore e a ridurre gli sprechi.

Quarto. Nel nome del partito che ha vinto è contenuta una parola che può essere un?opportunità. È la parola libertà. Ovvio che in sé può essere solo una maschera a servizio di alcuni arrampicatori. Se la libertà invece non resta solo formale ma si traduce in spazi reali che si aprono, in opportunità di costruzione per la società di mezzo, in pluralismo economico (questa è la sfida più importante), in sussidiarietà strutturata e reale, allora avremo tutti da guadagnarci.

Quinto. Sullo sfondo resta un tema cruciale per tutti, per la politica e per il sociale. È il tema di una ripresa della responsabilità individuale, dell?aiuto a far crescere cittadini consapevoli dei propri diritti ma anche dei propri doveri. È il terreno su cui il non profit è chiamato a un compito fondamentale, perché la positività e la passione per il reale è il tratto che lo contraddistingue. Avere a cuore il destino e la dignità di tutti, di chi è al nostro fianco, ma anche di chi verrà. C?è da riprendere un cammino ricco di attese e di speranza che si è insabbiato per l?insipienza e la tracotanza dei leader. La vita non è cosa che si delega a nessuno potere e a nessuna parte politica, fosse anche la migliore di questa terra. Il brusco passaggio che l?Italia sta vivendo forse ridà forza a questa consapevolezza. Rimette tutti davanti alla necessità di agire, di costruire. Di dare ragione delle proprie scelte. Non c?è più spazio per i fatalisti.

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