Cultura

Bimbi per strada, navigli puliti: la mia utopia pragmatica

Un famoso city-planner ridisegna una città partecipata. La vera rivoluzione si fa nel piccolo, nei quartieri e nelle case, non con la star-architettura. Anche a Milano. -di Raymond Lorenzo

di Redazione

Che bel compito Vita mi ha assegnato, per concludere l?anno 2007: immaginare la Milano del 2018. Costruire una ?visione del futuro? di quello che voglio e credo potrebbe essere Milano mi fa molto piacere. È così, perché lavoro da oltre un decennio con la mia cooperativa ABCittà proprio per migliorare il futuro della città: più sostenibile, vivibile, collaborativo, condiviso e partecipato. Investiamo per aumentare il suo capitale sociale. Questa è la nostra ragione d?essere come sottolineato dal cognome dell?ABCittà: L?Officina del Futuro. È l?opportunità di comunicare la nostra visione del futuro: gli scenari di quello che Milano potrebbe essere se le strategie partecipate e le piccole azioni comunitarie che compiamo in alcuni ambiti specifici – insieme con numerosi cittadini, organizzazioni e istituzioni in città e in provincia – fossero più diffuse e radicate nella società e fossero realmente comprese, sostenute e applicate dai soggetti che decidono e/o compiono le grandi azioni che trasformano la città. E, con questo, determinano – in parte – il suo ecosistema, la sua cultura ed economia e stravolgono le relazioni tra i cittadini e tra essi e i luoghi della città. Inoltre, quest?indagine – a più voci – rappresenta un?opportunità di capovolgere il tradizionale pessimismo che riempie i mass media nel periodo natalizio. Quest?anno non è un?eccezione. Anzi, pare che le percezioni siano ancora più ?nere?. Ed è facile capire il perché. Basta elencare: la scoperta del declino economico, morale, politico – e chi più ne ha… – dell?Italia; l?incubo Istat 2007 (paure, sfiducia, individualismo, ecc.), lo stato del clima globale e il ?passo piccolo? di Bali, le guerre varie, il terrorismo in agguato, la ?minaccia? indo-cinese e tutte le solite, ?piccole? emergenze televisive all?italiana. Aggiungiamo quello che si muove, in bene e in male, a Milano. Help! Intanto, alla base del pessimismo sta – sono sicuro – l?impostazione della domanda «come sarà il futuro?». Bastava solo trasformare il quesito in «quale futuro(i) desideri?» e «che cosa si può fare per farlo avverare?». Il filosofo e scienziato sociale olandese Fred Polak ha dimostrato, con numerosi esempi tratti dalla storia, l?influenza che aspettative del futuro ampiamente condivise hanno sugli sviluppi contemporanei e futuri di una società. Quando tali aspettative sono afflitte da paure e dubbi, esse funzionano come profezie autodeterminanti. D?altro canto, quando una società riesce a costruire immagini positive e ampiamente condivise, la prospettiva che quel futuro si realizzi migliora significativamente. Allora, ecco la mia Milano ottimista nel 2018. 1. I bambini e i giovani giocano e socializzano per strada e nelle piazze, conoscono e si fidano dei loro vicini, hanno opportunità d?interazione con la natura e i mestieri lungo i corsi d?acqua riscoperti e puliti. ll traffico sarà molto diminuito, i trasporti pubblici incrementati e la sicurezza sociale garantita da comunità e istituzioni che si conoscono e si rispettano. 2. Le case – più semplici, ecologiche e belle – sono accessibili a tutti. I quartieri sono integrati socialmente, economicamente, culturalmente e funzionalmente. Questo vuol dire che i decisori hanno finalmente compreso che cosa significa l?housing sociale. Non solo una questione di costi ma soprattutto di integrazione e diversificazione, di senso di appartenenza, di cooperazione e partecipazione. 3. L?altro – il diverso – non è visto con paura e sospetto, ma come un vicino di casa e una risorsa ricca di competenze e conoscenze con la quale collaborare, e con stili di vita e culture che arricchiscono i luoghi e aumentano la creatività e l?attrazione urbana. Un viaggio studi – per decisori e esperti – al mio Brooklyn è stato illuminante. 4. Lo cityscape non sarà segnalato soltanto da MonteCity, City Life e Città della Moda, ma da innumerevoli microinterventi di recupero e riqualificazione socio-urbana innescati da processi partecipati. La star-architettura dura pochi anni e può attirare alcuni turisti, ma tutto finisce se il tessuto urbano non è vissuto attivamente dai suoi abitanti. Nei rendering dei citati progetti non intravvedo un grammo di capitale sociale. 5. Milano è di nuovo il motore innovativo dell?Italia, non solo nella moda e nel consumo ?alto?, ma in campo sociale, tecnologico ed etico. Si è invertita la rotta Milano-Barcellona. I milanesi creativi tornano insieme con spagnoli, statunitensi, giapponesi, ecc. Il design eco-etico di Alberto Meda – a servizio di chi ha meno e non per chi ha più – è consueto. Motore di tutto ciò, tra l?altro, è stata l?intelligente idea della Provincia di far partecipare la cittadinanza, le istituzioni formative e i giovani all?evoluzione del suo ?Cantiere delle idee?. Basta immaginare. È un?utopia quello che ho prospettato? Mi scuso se rispondo con un?autocitazione, rielaborando un passaggio dal mio Città Sostenibile: partecipazione, luogo, comunità (Eleuthéra, 1998). «Qui, di nuovo, le riflessioni del nostro maestro Paul Goodman, che si è a lungo occupato del concetto d?utopia in questo secolo, possono esserci d?aiuto. Goodman ha sempre sostenuto che l?idea tradizionale di utopia – di grande dimensione e di trasformazione epocale – fa poca paura a quelle istituzioni e a quegli individui che operano per mantenere lo status quo. Goodman ha raccontato con grande umorismo gli innumerevoli rifiuti che ha ricevuto da tecnocratici e politici di fronte alle sue ?ideuzze? e alle sue proposte pragmatiche favorevoli ad alcune piccole mosse verso una società più giusta e libera o verso una città più conviviale e partecipata. Già nel 1947, la sua proposta perché avvenisse ?la restituzione delle strade della città ai bambini, vietandole alle macchine [?] e la restituzione della città ai cittadini? veniva rifiutata e bollata come utopica da quegli stessi amministratori e tecnici che avrebbero, di lì a dieci anni, stravolto l?assetto urbanistico della città di New York (?) costruendo centinaia di chilometri di superstrade urbane e isolando o distruggendo numerosi quartieri abitati. ?Un utopista pragmatico? ha fatto notare Goodman, ?non proporrebbe mai un programma così grande?». Ecco, io sono un ?utopista pragmatico?.

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