Sostenibilità

Dieci anni per dare aria a Milano

Dall'Ecopass all'Expo. Quali sono le vere sfide di una città proiettata nel futuro. -di Sara De Carli e Daniela Verlicchi

di Sara De Carli

di Sara De Carli e Daniela Verlicchi Dicono che a Torino, parlar male del grattacielo di Renzo Piano ti mette fra i traditori della patria: «Ti sei venduto ai milanesi!», dice il torinese, né falso né cortese. Dicono che a Roma siano ancora inviperiti con Carla Sozzani, da che disse che Roma non è la città della moda, perché la stampa internazionale nella capitale non ci va (e a Milano sì). Sarà la candidatura all?Expo 2015 o il fatto di aver tenuto a battesimo la dirigenza del Pd, fatto sta che a Milano sembra tornata quell?aria un filo arrogante ma indubitabilmente distinta che dà l?impronta della città. Peccato che, quest?aria distinta, ignori immigrazione, abitabilità e viabilità. I temi per cui Milano diventa città-paradigma dei problemi (e delle sfide) di mezza Italia. Poco ci importa se la Milano del 2018 avrà o meno il lago artificiale lasciato in eredità dall?Expo, molto ci cale di capire se Milano nel 2018 avrà le favelas e l?imbottigliamento continuo di auto, e quanta gente la città avrà espulso per ragioni economiche. Ecco le risposte di alcuni esperti. Trasporti e viabilità Miracolo a Milano. Nel 2018 la città avrà risolto i problemi di traffico. Ci sarà obbligata: vuoi per l?aumento esponenziale delle polveri sottili, per le sanzioni europee o perché ci sarà davvero un?altra mentalità. L?alternativa è la perdita di competitività della città, il suo spopolamento o un unico ingorgo quotidiano di traffico e smog, da terzo mondo. A dirlo è Anna Gervasoni, direttore del Centro ricerche su trasporti e infrastrutture della Luic di Castellanza. «Immagino un centro di viali alberati e mezzi pubblici e il traffico della cerchia dei Bastioni incanalato sotto terra o convogliato in tangenziale». E l?ecopass? Bocciato: «In centro in macchina non vanno le massaie, ma chi lavora. Per loro l?ecopass non è un disincentivo». Il segreto è dare un?alternativa. Francesca Zajczyk, che insegna Sociologia urbana all?università Bicocca, immagina un centro «lento», popolato di biciclette e risciò elettrici. «L?automobile è uno status symbol da molti anni», spiega. «Ma si intravedono le prime crepe». E non è detto che le alternative debbano essere ipertecnologiche. Federica Pagnacco, presidente dell?associazione Genitori antismog, lancia un?idea: «Copiamo i Paesi del Nord. Hanno inventato due binari di ghisa che permettono alle carrozzine di scendere in metropolitana». Vuoi mettere la comodità? Abitare Ma ce ne saranno di mamme a Milano, nel 2018? Perché oggi la città espelle abitanti in base a una dura accetta economica e a lasciarci le penne sono innanzitutto i giovani. «Lo spazio delle famiglie sarà quello periurbano», dice Claudio Bossi, presidente di La Cordata, cooperativa che si occupa di housing sociale. «Ma la ragione non sarà più economica. La casa non sarà percepita come bene, ma come servizio». Il ragionamento fila: tra dieci anni un giovane lavorerà sei mesi a Shangai e sei a Londra, che se ne fa di una casa di proprietà a Milano? Lo stesso vale per immigrati e stranieri, per cui Milano sarà una tappa transitoria, non una scelta di vita. Una casa-da-bere, dove i servizi che varranno di più saranno culturali (cinema, musica, teatro) e relazionali. I primi andranno spalmati su tutta la città, fino a far scomparire la differenza tra centro e periferia: è già successo alla Bovisa con la Triennale e alla Barona, dove un elegante complesso residenziale sta sorgendo accanto a un pensionato sociale. Ma la rivoluzione sarà nella casa come fulcro di servizi relazionali: «Una vita impostata sui flussi non si porta dietro relazioni», spiega Bossi. «Però l?uomo di relazioni ha bisogno, ci vorrà qualcuno che gliele offre, insieme alla casa. Serviranno professionisti nuovi, ?costruttori di capitale sociale?, capaci di implementare le logiche di economia di scambio all?interno del sistema abitativo». AAA, vicini vendesi. Immigrazione Il 2018 sarà l?era delle G2. Dei cinoitaliani e dei maroccoitaliani. Facile a dirsi, difficile a farsi. Per Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori e di Sociologia urbana all?università di Milano, «le aggregazioni giovanili a connotazione etnica faranno parte del paesaggio urbano». Frotte di Latin Kings e Neta, le famose bande latinos di Genova, in Galleria? Banlieue nostrane messe a ferro e fuoco? «Niente band, a patto che si investa sui luoghi dell?integrazione giovanile fuori dalla scuola: oratori e spazi dove fare sport gratis». Il rischio banlieue invece lo vede Giancarlo Blangiardo, che insegna Demografia alla Bicocca: «Le seconde generazioni avranno aspettative di vita e carriera diverse da quelle dei loro padri. Se non troveranno opportunità adeguate, il rischio della rabbia c?è». Più ottimismo invece sulla capacità includente della città: «Gli stranieri saranno presenti su quasi tutto il territorio, seppur divisi su base etnica», prevede Blangiardo. Ambrosini concorda, e anche la etnicizzazione non gli sembra tanto male: «Ogni quartiere avrà una ricca offerta di servizi commerciali etnici, dal cibo alle scuole di ballo, che sarà un motore di inclusione». Niente slums e baraccopoli in vista. Piuttosto sorgeranno, appena fuori città, quartieri esclusivi, le gated community. Ma siamo sicuri, le baraccopoli no? Con i campi rom sembra che andiamo in quella direzione? «L?Italia ha una tradizione di welfare che tiene. Ci è inaccettabile pensare a persone che vivono in favelas italiane. E se non basta la cultura dei diritti, ci penserà l?Europa: già sui rom, in questi ultimi mesi, ci ha bastonato?».


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